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Expo e calcio, tutte le manovrine dell’Arabia Saudita anche su Roma

Per ripulire la propria immagine, l'Arabia Saudita si è lanciata in investimenti rilevanti nello sport. E ha investito nella AS Roma per promuoversi su Expo 2030. Ecco numeri e obiettivi di Riad.

Che succede a Roma e alla Roma? L’Associazione Sportiva Roma ha confermato oggi di essere in trattativa con “un gruppo privato di Riad”, la capitale dell’Arabia Saudita, interessato a diventare main sponsor della società di calcio: si tratta di Riyadh Season, un’iniziativa di eventi legata al ministero della Cultura saudita, presentato come “uno dei più importanti eventi mondiali di intrattenimento”. L’accordo vale 25 milioni di euro in due anni.

L’AS Roma aveva già precisato che l’accordo di sponsorizzazione sarebbe stato “strettamente commerciale” e non legato a Expo 2030, che sia Riad sia Roma (la capitale d’Italia, non la società) si sono candidate a ospitare.

La decisione sulla città in cui si terrà la prossima esposizione universale verrà presa a fine novembre dal Bureau international des Expositions, che ha sede in Francia.

Le precisazioni dell’AS Roma su Riad

L’AS Roma ha specificato che l’accordo con lo sponsor saudita, poi rivelatosi Riyadh Season, sarà “strettamente commerciale” e del tutto slegato dalla competizione tra le due capitali per Expo 2030.

Lo scorso agosto la compagnia aerea saudita di bandiera Riyadh Air ha annunciato la main sponsorship dell’Atletico Madrid, una delle più importanti squadre di calcio in Spagna.

La politica si fa da parte

Secondo Il Messaggero, nei palazzi della politica romana e nazionale la posizione nei confronti dell’accordo tra AS Roma e Riad è di distacco: “non possiamo entrare nelle scelte di una società privata”, riporta il quotidiano.

Perché Meloni non ha promosso Roma all’Onu?

Ma il governo di Giorgia Meloni è davvero interessato a portare l’Expo a Roma? Perché la presidente del consiglio, a differenza del rappresentante saudita, non ha sfruttato il suo intervento alla recente Assemblea generale delle Nazioni Unite per promuovere la candidatura della capitale italiana: ci hanno pensato il sindaco dem Roberto Gualtieri (tifoso della Roma, peraltro) e il presidente della Regione Lazio Francesco Rocca (alla testa di una giunta di centrodestra).

Diverse ricostruzioni sostengono che la mancata promozione all’ONU sia dovuta a due cose: al fatto che la vittoria di Roma alla gara per Expo 2030 avvantaggerebbe innanzitutto il Partito democratico di Gualtieri (Rocca, però, è espressione di Fratelli d’Italia); e al fatto che Meloni avrebbe compreso che la candidatura saudita è quella che ha molte più possibilità di vittoria (è la più gradita dalla Francia). Merito del lobbying del principe Mohammed bin Salman, che starebbe promettendo grandi investimenti in cambio dell’appoggio su Expo.

Lo spendi e spandi dell’Arabia Saudita

Spendi e spandi sembra essere proprio la formula di sviluppo scelta dall’Arabia Saudita con investimenti al limite della megalomania, come quelli nel calcio e addirittura nella progettazione di una città lineare nel deserto lunga 170 km. Ecco cosa scrive l’Ispi a proposito della “geopolitica dello sport” intrapresa dal Paese anche allo scopo di ripulire un’immagine deteriorata dalle passate complicità col terrorismo e dal pessimo stato dei diritti umani.

La geopolitica dello sport

Fino a pochissimi anni fa l’Arabia Saudita era nota ai più per essere custode dei luoghi santi dell’Islam, di cui il regno sposava le visioni più oltranziste, e per le immense riserve di greggio. Ma negli ultimi tempi la casa dei Saud si sta adoperando per rinnovare l’immagine del Paese compromessa dal pessimo stato dei diritti umani, e per rilanciare l’economia liberandola dalla strutturale dipendenza dagli idrocarburi.

Il perno di questo sforzo di rinnovamento è rappresento dal Public Investment Fund (PIF), uno dei fondi sovrani più ricchi al mondo che, sotto la guida del principe ereditario nonché primo ministro Mohammed bin Salman (MbS), ha cominciato a perseguire una strategia orientata verso i principali sport internazionali e basata sul reclutamento, a colpi di danarosissimi contratti, di giocatori, tecnici e allenatori.

Il primo passo riguardò il pugilato, seguito a cascata da tutte le altre discipline, dal golf alle arti marziali, la Formula 1, il cricket e persino lo sci.

Ma il culmine di questa strategia vede coinvolto il calcio, con l’evento dirompente rappresentato dall’ingaggio della superstar Cristiano Ronaldo unitosi nel dicembre 2022 all’Al-Nassr di Riad con un contratto da 200 milioni di dollari a stagione.

L’Arabia Saudita sarà la nuova Mecca del pallone?

Ma la data simbolica potrebbe essere un’altra: è il 22 novembre 2022 quando, ai mondiali del vicino Qatar, la nazionale di calcio saudita ha battuto l’Argentina di Messi che avrebbe vinto meno di un mese dopo il campionato.

È da quel momento, scrive l’Ispi, che “la campagna acquisti del PIF nel mondo del calcio ha assunto contorni sempre più aggressivi”. Il calciomercato di quest’estate è stato letteralmente monopolizzato dalla Saudi Pro League, che si è assicurata, sborsando cifre astronomiche, stelle del calibro di Karim Benzema, Neymar Junior, N’Golo Kante, e Kalidou Koulibaly. Al culmine di questo processo è arrivato dall’Italia il tecnico Roberto Mancini come nuovo allenatore della nazionale saudita.

Attirati dagli stipendi faraonici, atleti più o meno famosi, sia giovani che a fine carriera, hanno abbandonato le leghe europee per andare a militare in un campionato che quest’anno da sedici squadre passerà a diciotto.

Per nobilitare i propri ranghi, i club sauditi hanno speso circa novecento milioni di dollari, una cifra record che garantisce al Regno la trasmissione televisiva delle partite in tutto il mondo e le relative entrate.

Perché?

Ma perché il PIF ha deciso di investire così tanto nello sport e in una cultura non propriamente affine alle tradizioni autoctone un tempo sbandierate dal Regno come il non plus ultra?

Come ha recentemente osservato l’Economist, l’offensiva voluta da MbS persegue due obiettivi strategici: riposizionare drasticamente l’immagine della monarchia nel mondo e indirizzare una riforma del sistema economico che la allontani dalla dipendenza esclusiva dal petrolio e ne diversifichi le fonti.

Le grandi iniziative del PIF in campo sportivo rientrano infatti nel grande piano di MbS noto come “Vision 2030”, disegnato al fine di modernizzare il Paese e la sua società entro la fine del decennio.

Di un restyling, effettivamente, il Regno ne aveva effettivamente un profondo bisogno. La reputazione in materia di politica e di diritti umani è infatti ancor oggi disastrosa per un Paese che fino a pochi anni fa era messo all’indice anche per la sua complicità col terrorismo islamico, uno dei cui protagonisti assoluti è stato proprio lo sceicco saudita Osama bin Laden.

Come se non bastasse, nel 2018 è sopraggiunto il delitto Khashoggi, che secondo un rapporto della Cia di tre anni dopo ha visto proprio MbS come mandante.

Modello sostenibile?

La pessima reputazione dell’Arabia Saudita è ora controbilanciata dall’immagine patinata delle superstar del calcio che, rileva l’Ispi, stanno trasformando “non solo la monarchia ma lo stesso sport globale, con effetti non ancora prevedibili”.

Ma questo modello di business è effettivamente sostenibile? La risposta dovrebbe essere positiva visto che la voce tempo libero e intrattenimento rappresenta appena l’1,6% degli investimenti del PIF.

Ma ciò non toglie che questo costoso trastullo non è sostenuto da singoli imprenditori, bensì dallo Stato. E, come sottolinea l’Istituto diretto da Paolo Magri, “una combinazione di bassi ricavi e costi elevati potrebbe significare che molte imprese sportive non riuscirebbero a sostenersi o a competere a livello globale senza sussidi”.

Le altre follie dell’Arabia Saudita

Ma lo sport non è l’unico centro della mania spendi e spandi del nuovo corso saudita.

Risale al 2021 l’annuncio di un megaprogetto per costruire nel deserto una città lineare, chiamata The Line, “in una scala mai vista prima nella storia umana”.

Sviluppandosi non col un consueto impianto ortogonale ma su una singola arteria lunga 170 km, questa megalopoli è progettata per essere senza auto e collegata da un sistema di trasporto ferroviario ad alta velocità in grado di percorrere l’intero tratto in appena venti minuti.

A partecipare alla realizzazione di The Line c’è anche la visionaria Archistar italiana Massimiliano Fuksas.

Come ha spiegato lo stesso Fuksas in un’intervista al sito Calcio saudita, The Line sarà “una città incredibile, lunga 170 chilometri che andrà dalle rive del Mar Rosso, attraversando il deserto, fino alle montagne. L’intera struttura sarà larga duecento metri e alta cinquecento. Avrà un rivestimento specchiato su entrambi i lati che le conferirà un aspetto unico al mondo e al suo interno ci sarà davvero tutto ciò che si può immaginare in una città del futuro”.

Questa città futuristica sarà anche, sottolinea l’architetto, una smart city “che si autoalimenterà completamente e che produrrà al suo interno tutto ciò di cui ha bisogno per sostenersi. Di certo, non ci sarà il problema dell’energia. Il sole non manca”.

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