Nell’attuale disperato frangente della storia dell’umanità è quasi impossibile non solo avere delle certezze, ma anche cercare vie d’uscita possibili. Perciò è opportuno agire con prudenza, tenendo ben conto dei rapporti di forza senza precipitare (come si diceva ai tempi di un possibile confitto nucleare) in una “guerra per errore”.
È prova di buona salute mentale, però, chiamare le cose con il loro nome. La linea di condotta della nuova amministrazione Usa è una vera e propria aggressione all’economia internazionale (diecimila miliardi bruciati in pochi giorni), con azioni degne di uno stato-criminale che, per ragioni incomprensibili, ha dichiarato guerra al mondo. Certo Trump non ha promosso nessuna operazione militare speciale per invadere l’Europa; non sono decollate le “fortezze volanti” a bombardare le capitali europee, né sono sbarcati i marines in Normandia (questa volta però non lo avrebbero fatto per liberare la Francia, ma per sostenere gli eredi del governo di Vichy). Possiamo dire però che stanno facendo largo uso di una speciale Bomba N che non manda in macerie le città e le infrastrutture, ma colpisce le persone nei loro rapporti sociali ed economici, nel loro lavoro e nella quotidianità del vivere civile. E sinceramente è difficile trovare uno straccio di spiegazione per questa politica che usa i dazi al posto dei droni.
Con molto pelo nello stomaco si potrebbe persino (in tanti lo hanno fatto) arrivare a comprendere (mai a giustificare) il disegno neo-imperialista di Putin sulla base della ricostruzione storica propagandata dal nuovo zar. A questo proposito, qualcuno avrà notato che i manifesti per l’accoglienza di Francesco Totti si riferiscono a Mosca come a una terza Roma ed evocavano un film della trilogia nazionalista del grande Sergei M. Eisenstein e precisamente “Ivan il Terribile”, dove lo zar minacciato dai Boiardi vaga per le stanze del Cremlino al grido di: “due Rome caddero, una terza Roma, Mosca, non cadrà. E una quarta Roma non sarà”.
Nel film del 1944 il regista si riferiva alla figura di Stalin, ma Putin potrebbe essere il protagonista di un remake. Ma gli Stati Uniti che cosa hanno da lamentarsi? Trump ha ricevuto in consegna da Joe Biden un paese in buona salute che aveva recuperato, attraverso il ripristino dei rapporti multilaterali, un dialogo importante e proficuo con l’Europa; non solo quella parte che Yalta aveva consegnato all’Occidente ma tutto il Continente, compresi quei paesi che erano rimasti al di là della Cortina di ferro. Gli europei hanno “scroccato” la loro sicurezza agli americani? È vero ed oggi ne pagano le conseguenze nel trovarsi costretti a difendersi da soli. Ma le amministrazioni americane facevano l’interesse del loro paese. Tanto è vero che, quando alla fine degli anni ’70 l’URSS alterò l’equilibrio della deterrenza in Europa con l’installazione degli SS20, la Nato (e quindi gli Usa), benché sussistesse ancora un equilibrio a livello planetario tra le due superpotenze, volle dispiegare i Cruise e i Pershing per garantire la sicurezza degli alleati europei, i cui governi, in generale, tranne la Germania e l’Italia, furono parecchio riottosi nell’ospitare i nuovi armamenti.
Nella dottrina del Maga i dazi sono un’arma ostile da usare per fare del male, per “spezzare le reni” alla Ue e ai nuovi competitori internazionali, come la Cina. Quando sento dire che si deve negoziare con Trump e che va evitata una guerra commerciale, mi sembra di avvertire il suono delle parole che per tre anni abbiamo udito, in certi ambienti, con riguardo alla guerra in Ucraina. Si doveva negoziare – dicevano i putiniani – perché la Russia non poteva essere sconfitta e occorreva scongiurare, ad ogni costo, una terza guerra mondiale a rischio nucleare. Negoziare con Putin sarebbe stato possibile concedendo alla Russia quanto non è ancora riuscita a conquistare completamente con le armi e con centinaia di migliaia di morti. E non è vero che l’Ucraina sia stata sconfitta: se fosse stata aiutata prima e meglio oggi le condizioni sul campo sarebbero più vantaggiose. Comunque, la Russia non ha vinto.
Che cosa comporterebbe – ammesso che sia possibile e costruttivo – un negoziato con Trump sui dazi, dopo che gli Usa hanno già deciso, se non il mendicare uno sconto, ognuno per sé? Non commettiamo l’errore di abbassare la guardia come in Ucraina quando hanno cercato di farci credere – e molti ci hanno creduto – che se la guerra continua è colpa del riarmo europeo. Nel cuore dell’Europa si combatte una guerra tra un paese aggressore e uno aggredito. Nel mondo è già in corso una guerra dei dazi ed è chiaro chi l’ha scatenata e chi la subisce. Come in Ucraina ogni metro di terra difeso o conquistato peserà al tavolo del cessate il fuoco (sempre che ci si arrivi), anche nella guerra dei dazi il negoziato dipenderà dalle conseguenze della risposta dell’Europa agli Usa.