In linea con tutte le votazioni del centrodestra unito in parlamento, a cominciare da quella del marzo scorso sul sostegno all’Ucraina anche con l’invio delle armi deciso dal governo Draghi, che scade il prossimo 31 dicembre, e in linea con la mozione presentata l’altro ieri alla Camera dalla maggioranza, il governo Meloni ha varato in consiglio dei ministri il decreto che proroga l’invio delle armi per il 2023.
A dispetto quindi di una narrazione che ipotizzava sull’Ucraina crepe “filo-putiniane”, con sospetti una volta su Matteo Salvini (videocollegato con Palazzo Chigi, perché oggi sarà a Palermo al processo Open Arms), un’altra su Silvio Berlusconi, per aver battuto il tasto sulla necessità di aprire un percorso di pace, nel rispetto delle ragioni dell’Ucraina aggredita dalla Russia, il centrodestra o destracentro dunque nei fatti mantiene fede a quello che era il punto principale della politica estera nel programma comune di governo. E ora la palla ripassa al Pd soprattutto.
Se sulla sua mozione l’altro ieri la maggioranza si è astenuta, assicurandone così l’approvazione, dal momento che sul sostegno all’Ucraina Enrico Letta si è fin da subito schierato sulla linea atlantica, ora però il Pd sarà di nuovo stretto a tenaglia in parlamento tra Giuseppe Conte, che già gli ha dato più volte del “guerrafondaio”, come il popolo cosiddetto “pacifista” in piazza, e il “terzo polo” di Carlo Calenda con Matteo Renzi sulle stesse posizioni della maggioranza di governo pro-Ucraina.
Bisognerà però anche vedere quale sarà ora la posizione dei Cinque Stelle che l’altra volta votarono a favore del provvedimento del governo Draghi, di cui allora facevano parte. Ma non è affatto prevedibile che cessi l’offensiva di Conte sui dem. Il decreto del governo Meloni in continuità con Draghi è infatti il provvedimento chiave che dà copertura anche per il 2023 all’invio delle armi. I dibattiti svoltisi poi in parlamento su varie mozioni sono di indirizzo politico. La discussione dell’altro ieri ha messo ancora più in rilievo la spaccatura delle opposizioni, che intanto si sta verificando anche sulla legge di Bilancio in aula il 20 dicembre, preceduta dal voto sull’Ucraina.
Se nella maggioranza il caso Calenda, ricevuto su sua richiesta a Palazzo Chigi dal premier Giorgia Meloni, per illustrare le proposte pur da opposizione sulla manovra, mossa sulla quale ha messo ieri il timbro anche Renzi, ha creato irritazione in Forza Italia, accusata dallo stesso leader terzopolista di voler “sabotare” la Finanziaria, sembra smorzarsi, la polemica esplode virulenta tutta a sinistra.
Tra Letta e Calenda, di rimando a Renzi, ruvido scambio di accuse. Letta accusa il leader di Azione di essere pronto a sostituire FI e l’altro che reagisce pesantemente: “Fesserie di un uomo che non sa elaborare una strategia”. Chiosa Renzi attaccando pure lui Letta: “Ha sbagliato tutto, potevamo fermare Meloni”. Letta, dopo aver ricevuto una serie di categorie ieri, si prepara a scendere in piazza contro la manovra definita “Iniqua e favore degli evasori”.
Ma a sinistra la musica sembra un po’ iniziare a cambiare. Avanza sempre più la candidatura di Stefano Bonaccini, con il sostegno dei sindaci Dario Nardella, Antonio Decaro, presidente dell’Anci, probabilmente di Matteo Ricci. Bonaccini sembra già parlare da segretario: “Staremo un po’ all’opposizione e ci farà anche bene”. Frecciata a Calenda: “L’opposizione non si fa con i tete-a-tete, ma in parlamento e in modo serio”. E ai Cinque Stelle: “Facciano opposizione al governo, non al Pd”. Non si sa come finirà nel Pd, ma è sempre da ricordare che il governatore emiliano è andato d’accordo finora pragmaticamente con tutti i segretari del Pd da Pier Luigi Bersani allo stesso Renzi. E a quel punto il filo del “terzo polo” potrebbe ricongiungersi con il Pd? Scenari molto futuri, ma non nel campo dell’inverosimile.
Forza Italia presa di mira da Calenda – nella parte del cattivo, mentre Renzi ha giocato in quella del buono, anzi del “moderato” come si è definito – l’altro ieri con Silvio Berlusconi, pur “apprezzando la manovra”, ha chiesto una maggiore decontribuzione per i giovani assunti. E ieri con i capogruppo Licia Ronzulli e Alessandro Cattaneo ha insistito sulla proroga del Superbonus per non arrecare danno alle imprese. Giorgio Mulè, il vicepresidente azzurro della Camera attacca Calenda e afferma che il premier Meloni “crede in modo granitico in questa maggioranza”. Sottolinea anche che FdI sta recependo le richieste di FI con propri emendamenti sul Superbonus. La tensione interna alla maggioranza rientra. La polemica ora riesplode tutta nel centrosinistra.