Comporre il puzzle di governo dai tanti tasselli che usciranno dalle urne slovacche sarà il compito più difficile per il vincitore delle elezioni di sabato 30 settembre. Un quadro frammentato, con ben 9 partiti che potrebbero entrare in parlamento e nessuno con quote sopra il 20%. Eppure dipenderà da questa abilità la possibilità di restituire allo Stato centro-europeo un governo stabile dopo la parentesi dell’esecutivo tecnico guidato dall’ex vice governatore della banca centrale Ľudovít Ódor. L’economista 47enne, subentrato al dimissionario governo di centro-destra, ha retto con un certo piglio la fase di transizione, mantenendo la Slovacchia saldamente all’interno dell’alleanza occidentale che supporta l’Ucraina e tutelando il paese dalle tentazioni euro-critiche che trovano oggi il loro epicentro pochi chilometri più a sud.
Lì, pochi chilometri più a sud c’è infatti Budapest. E Viktor Orban è stato il convitato di pietra di questa campagna elettorale. Nella scia del suo Sonderweg sulla guerra, sull’Ucraina, su Putin, sulle sanzioni energetiche e naturalmente sull’Unione europea, si è infilato Robert Fico. Vecchia conoscenza della politica slovacca, Fico è stato capo del governo quasi ininterrottamente (salvo 21 mesi) dal 2006 al 2018, prima di essere costretto a dimettersi in seguito alle proteste di piazza per l’assassinio del giornalista slovacco Jan Kuciak e della sua compagna e per i sospetti di collusioni fra criminalità organizzata ed esponenti del suo governo. Ex comunista riciclatosi come socialdemocratico alla caduta della cortina di ferro, Fico è alla testa di un partito populista di sinistra, lo Smer, che è stato il pilastro del potere polacco dalla metà degli anni Duemila alla fine degli anni Dieci.
COSA DICONO I SONDAGGI SULLE ELEZIONI IN SLOVACCHIA
Sembrava finito, oggi sembra miracolato. Se i sondaggi raccontano qualcosa di vero, è lui l’uomo a cui gli slovacchi affideranno il compito di comporre il nuovo puzzle. I sondaggi vanno presi in Slovacchia con pinze più sofisticate che altrove, tanto sono imprecisi a prescindere dalla polverizzazione del quadro partitico che naturalmente complica le indagini: tre anni fa il partito di centro-destra che poi vinse le elezioni con il 25% era dato al 9 solo un mese prima. Ma intanto restano l’unica base, per quanto fragile, su cui ipotizzare qualche speculazione. E secondo le ultime indicazioni, Fico e il suo Smer sarebbero in testa con una percentuale attorno al 20, sebbene il suo principale avversario, Michal Simecka, leader di un partito di sinistra che si dichiara più progressista e moderno, gli stia alle calcagna e nelle ultime settimane abbia recuperato terreno.
Se sarà testa a testa lo diranno poi le urne vere, ma già il fatto che uno come Fico sia rinato dalle sue ceneri e possa davvero tornare a distribuire le carte del mazzo è un miracolo, quantomeno politico.
L’INCOGNITA NATO
Il suo possibile ritorno alla guida del governo allarma cancellerie europee e Nato. Tutti temono che, qualora diventi davvero primo ministro, Fico possa dare seguito a quanto propagandato in campagna elettorale e quindi sfilarsi dal gruppo dei paesi che sostiene militarmente e logisticamente l’Ucraina. E sarebbe un bel guaio, dal momento che la Slovacchia è un paese confinante e fondamentale per il passaggio di armi e aiuti alimentari e medici al vicino in guerra. Orban aspetterebbe a braccia aperte il ritorno di Fico per creare quel cortocircuito populista (uno di destra e uno di sinistra) capace, come spiegano gli analisti del network “Visegrad Inside”, di minare dall’interno gli equilibri dell’Ue e della Nato e anche di spostare i rapporti di forza all’interno del già scombussolato Gruppo di Visegrad. Uscito malridotto dalla defezione “filorussa” di Orban e ora spaccato in due tra la maggioranza pro Ucraina di Varsavia, Praga e Bratislava e quella pro Russia di Budapest.
AGLI SLOVACCHI IL MONDO NON INTERESSA
Degli equilibri internazionali, però, agli elettori slovacchi sembra interessare poco o nulla. La posizione riguardo al conflitto al di là dei propri confini risulta sempre in coda alle motivazioni di voto, che sono invece dominate da altri temi, pur collegati alla guerra. Inflazione, timori per l’approvvigionamento energetico e da ultimo, naturalmente, immigrazione. La Slovacchia è territorio di passaggio per ogni sorta di corrente migratoria, sia quelle che vengono dal sud lungo le rotte mediterranea e balcanica, che quelle da est e da nord, che si tratti di profughi di guerra ucraini o del rialimentato flusso bielorusso di siriani e afgani (la vergognosa arma di ricatto che Lukashenko e Putin continuano a tenere puntata verso l’Ue).
Quanto alla vita quotidiana, l’aumento dei prezzi morde salari sempre più bassi della media europea e l’inflazione che a luglio era ancora al 10,3 è la seconda più alta del continente. Le misure governative hanno aiutato a calmierare l’impatto dei nuovi costi energetici, ma è evidente che la propaganda di Smer sugli aumenti dell’elettricità dovuti al rifiuto di Ue e Nato di trovare un accordo con Putin tocchi nervi scoperti, soprattutto se si tiene conto l’opinione pubblica slovacca ha storicamente avuto atteggiamenti amichevoli nei confronti della Russia, addirittura ai tempi dell’Urss.
Ma ormai si attende solo il responso delle urne, alle quali gli elettori sono giunti con un tasso di indecisi altissimo, il 25%. L’alternativa più credibile a Fico è appunto quella di Michal Simecka e del suo partito Slovacchia progressista. Potrebbe sorpassare il vecchio premier all’ultimo giro e provare a costruire un’alleanza con la destra moderata di Olano, vincitrice tre anni fa ma ammaccata da una performance di governo modesta, sfociata nel governo tecnico di Ódor. Il quale ha tenuto la barra diritta verso Bruxelles anche perché consapevole di una cosa: che le speranze di ripresa economica di questo piccolo ma strategico paese dell’Europa centrale sono legate alla capacità di sfruttare a pieno le risorse del Recovery Fund.