Lunedì 23 maggio si è svolta la seconda riunione del “Gruppo di Contatto sull’Ucraina”. A differenza della prima, svoltasi in presenza presso la base Usa di Ramstein in Germania, questa volta la modalità scelta è stata quella della videoconferenza. Un dettaglio tecnico che però non ha certo inciso sull’importanza dell’evento.
Prima di affrontare nel dettaglio quanto è emerso da questo incontro, una rapida premessa; giusto il tempo di ricordare cosa sia questo particolare “formato”. Nello specifico, si tratta di una iniziativa nata sotto la spinta degli Stati Uniti (e, in parte, del Regno Unito), avente lo scopo di organizzare al meglio e coordinare l’invio di aiuti militari all’Ucraina.
E per quanto esso faccia sostanzialmente perno su un “nocciolo duro” rappresentato dalla Nato, il primo dato saliente che emerge è il suo rapido allargamento. A oggi sono infatti nel 47 i Paesi che ne fanno parte; di fatto, tutti i continenti del mondo vi si trovano in qualche modo rappresentati.
E se da una parte è vero che in molti casi l’apporto sarà presumibilmente modesto (talvolta perfino “simbolico”) resta il dato politico, rappresentato cioè dall’ampliamento di quella che è ormai è una sorta di ampia coalizione internazionale che si pone chiaramente a difesa dell’Ucraina.
Non meno interessante risulta poi l’aspetto pratico; dalle dichiarazioni ufficiali al termine di simili consessi raramente giungono indicazioni di particolare interesse, soprattutto se riferite ad aspetti specifici. Ebbene, non è stato questo il caso. Quanto riferito alla stampa dal Segretario alla Difesa Americano Austin ha infatti un suo preciso valore.
Prima di tutto (e sopra a tutto) è stato annunciato l’impegno della Danimarca a fornire missili antinave Harpoon. Per quanto non siano state fornite ulteriori indicazioni, è opinione diffusa che si tratterà delle batterie mobili costiere montate su camion, in servizio con la Marina di Copenaghen tra la fine degli anni 80 e il 2003. Denominate “Mobile missile Battery” (MOBA), tali batterie sono completamente autonome sotto ogni punto di vista.
Non occorre dunque essere particolarmente esperti in materia militare per capire che questo nuovo sistema d’arma (non a caso ripetutamente chiesto da Kiev) potrebbe ribaltare la situazione nel Mar Nero; oggi sotto il completo dominio della Marina Russa. Costringendo cioè quest’ultima a operare molto più a largo e con meno libertà d’azione rispetto a oggi.
Ovviamente, non mancano gli interrogativi: rispetto cioè a quando potranno essere effettivamente disponibili per le Forze Ucraine queste stesse batterie, quali possono essere le loro condizioni dopo così tanti anni di inattività, quanto complesse le attività di addestramento. In prospettiva però, come detto, le condizioni perché questo nuovo ingresso nell’arsenale Ucraino sia davvero rilevante ci sono tutte.
Sempre dalla conferenza stampa, si sono apprese altre informazioni; anche più vaghe ma comunque di un certo interesse ai fini dell’analisi di quanto si sta facendo per Kiev. In particolare, il Segretario Austin ha ringraziato la Repubblica Ceca per una recente (e significativa) donazione di elicotteri d’attacco (Mi-24), carri armati (T-72M1) e lanciarazzi (RM-70).
Sempre a livello di citazioni, sono arrivati i ringraziamenti a diversi altri Paesi Europei; nel dettaglio a Italia, Grecia, Norvegia e Polonia per la prossima fornitura di artiglieria e munizionamento. Ancora una volta, le indicazioni sono a dir poco vaghe ma, in particolare per il nostro Paese, una simile affermazione sembrerebbe una conferma indiretta delle indiscrezioni circolate nei giorni scorsi; quando cioè in occasione del terzo decreto di invio di armi a Kiev, si era parlato del possibile trasferimento di obici da 155 mm FH-70 già in dotazione all’Esercito Italiano.
Dal successivo confronto con i giornalisti è peraltro emerso un altro tema molto discusso in quest’ultimo periodo; la possibile fornitura di sistemi lanciarazzi mobili del tipo HIMARS (High Mobility Artillery Rocket System). Considerato come uno dei più moderni della sua categoria, è evidente che il suo arrivo in Ucraina (sopratutto se in numeri consistenti) rappresenterebbe un ulteriore passo in avanti per le sue forze. Ebbene, dalle dichiarazioni dello stesso Segretario Austin sembra emergere non solo una sostanziale disponibilità Statunitense in proposito; di più, colloqui sarebbero già in corso e con ogni probabilità ci potrebbero essere delle novità a breve.
In attesa dunque della terza riunione del “Gruppo di Contatto sull’Ucraina”, che anticiperà la sua cadenza mensile al 15 giugno prossimo a margine della Ministeriale in formato Difesa della Nato (a dimostrazione del senso di urgenza contenuto nelle azioni della comunità Occidentale a favore di Kiev), anche quanto emerso nell’ultimo incontro conferma dunque quella che potremmo definire la politica del “doppio binario”.
Da un parte infatti, si sta cercando di sostenere gli sforzi bellici del Paese sotto attacco attraverso la fornitura di sistemi d‘arma sostanzialmente già conosciuti e quindi di rapida nonché facile introduzione in servizio (come nel caso delle forniture di Repubblica Ceca, Polonia e altri Paesi dell’Est Europa). Dall’altra, nella consapevolezza che questi ultimi non sono inesauribili, si sta puntando comunque a una graduale introduzione di altri Occidentali: sicuramente più complessi ma che nel medio periodo offrono maggiori garanzie in termini di sostegno/supporto logistico.
Dunque, quella di Kiev è una vera e propria corsa contro il tempo; riuscire a resistere per quanto più possibile nelle prossime settimane, in attesa che il complesso degli aiuti in arrivo dispieghi i propri effetti. E a quel punto, provare a immaginare anche una fase nuova della guerra. Fase nuova che a oggi appare (molto) difficile da declinare all’insegna di una vera e e propria vittoria per Kiev stessa; ma che, comunque, potrebbe essere immaginata attraverso un (magari anche solo parziale) ribaltamento delle attuali posizioni.