Con la conferenza-stampa d’inizio anno la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha dato l’addio all’ipotesi, già ardua sotto il profilo normativo, di un terzo mandato per i presidenti di Regione.
Proprio nell’ultimo giorno utile, cioè ieri, il Consiglio dei ministri ha impugnato una legge della Campania che, interpretando a modo suo il decorso per conteggiare i tempi della “non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo” -come dice con chiarezza la legge nazionale-, avrebbe potuto aprire una porticina. La presidente del Consiglio l’ha invece chiusa, in nome del principio fondamentale che spetta allo Stato stabilire e non alle Regioni interpretare.
Dunque, niente tris per Luca Zaia in Veneto quale “effetto collaterale” della disputa campana tra governo e Vincenzo De Luca (che a sua volta puntava a continuare). Ma le candidature non dipendono solo dall’ordinamento: è politica la vera questione del terzo e sfumato mandato, perché Fdi, il partito della Meloni, rivendica la poltrona di governatore nel Veneto seguendo il criterio che nel centrodestra s’è applicato anche a livello nazionale. Chi ha più voti, ha diritto alla presidenza. Anche se, trattandosi di una coalizione, l’aritmetica deve poi “fare i conti” con un equilibrio che rispetti il ruolo e non solo i consensi d’ogni forza politica.
Non sarà una trattativa semplice, perché si lega, oltretutto, alla grande riforma che la maggioranza reclama per accontentare gli obiettivi di ciascun alleato: il premierato per la destra, l’autonomia per la Lega e la giustizia per Forza Italia.
Ma la grande riforma s’è impantanata. L’elezione diretta del presidente del Consiglio giace da mesi alla Camera, dopo il primo e unico via libera del Senato. Poiché è legge costituzionale, tecnicamente migliorabile e comunque richiede la contestuale riforma della legge elettorale, avrà un lungo e tormentato cammino.
Quanto all’autonomia, l’originario progetto leghista è stato smontato radicalmente e rimontato con vincoli invalicabili dalla Corte Costituzionale. Di fatto e di diritto quell’autonomia s’è evaporata.
Resta in piedi il rinnovamento della giustizia con la separazione delle carriere e altro. Argomento controverso e con molti particolari per gli addetti ai lavori, non una rivoluzione su cui poter inneggiare al grande cambiamento per i cittadini.
L’intreccio fra premierato, autonomia e giustizia, tre riforme malconce per ragioni diverse, non può perciò riequilibrare la partita delle candidature nel centrodestra per le elezioni di quest’anno in numerosi capoluoghi di provincia e in sei Regioni. Oltre al Veneto e Campania, Toscana, Puglia, Marche e Valle d’Aosta.
In realtà, la sola “grande riforma” che la maggioranza possa rivendicare, è la durata del governo: il settimo più longevo della Repubblica, 810 giorni. In autunno l’esecutivo arriverà al terzo posto dopo due governi-Berlusconi.
Si può star certi che, per Giorgia Meloni, l’importanza della stabilità per l’Italia diventerà tema preminente e consolatorio sui cambiamenti finora mancati o arenati.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova
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