Si è rivelata un po’ la cena delle beffe, parafrasando l’omonimo dramma di Sem Benelli e il film derivatone da Alessandro Blasetti del 1942, quella con la quale si è aperta a Bruxelles la partita sui vertici apicali dell’Unione Europea dopo le elezioni del 9 giugno. E’ successo tutto e niente in un clima di tensioni e manovre, tutti ben sapendo che siamo solo agli inizi.
LE LETTURE ITALIANE SULLE NOMINE EUROPEE
La difficoltà di una diversa, definitiva lettura del confronto conviviale fra i capi di Stato e di governo sta nella valutazione opposta, per esempio, di due giornali italiani che pure fanno parte dello stesso gruppo editoriale di John Elkann. “La ritirata di Meloni”, ha titolato la Repubblica. “La sfida di Meloni”, ha titolato La Stampa.
LE SFIDE PER MELONI
La sfida di Meloni è quella ai suoi interlocutori di chiudere un accordo teorizzato, in particolare, dal negoziatore polacco dei popolari per un bis di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione di Bruxelles facendo a meno appunto della Meloni. E affrontando su queste posizioni il voto del Parlamento europeo a luglio. Dove la prima a temere di perdere è proprio la presidente uscente della Commissione, consapevole come uno dei suoi predecessori, l’italiano Romano Prodi, che il voto segreto a Strasburgo, come spesso nel Parlamento italiano, è quello più della vendetta che della disciplina, o della riconoscenza.
L’AZZARDO DI MACRON
Al passaggio parlamentare di Strasburgo si arriverà peraltro dopo altri vertici europei, ma soprattutto dopo la soluzione del giallo francese, chiamiamolo così, diffuso nelle librerie e nelle piazze dallo stesso presidente Emmanuel Macron. Che, sconfitto nelle europee dalla destra, ha cercato di contenerne gli effetti sciogliendo l’Assemblea Nazionale e rimandando i connazionali alle urne a tamburo battente, anche a costo di dovere poi nominare un presidente del Consiglio di destra e conviverci per il resto del suo mandato.
LE MARACHELLE ITALIANE
Ma c’è un giallo anche a Berlino, dove il cancelliere considera di estrema destra in Europa la Meloni dopo essere stato praticamente battuto dall’estrema destra, davvero, in Germania. La premier italiana invece non ha gialli da sfogliare in casa, disponendo di una maggioranza sicura, per quanto facile a cadere nelle provocazioni d’aula parlamentari delle opposizioni che sventolano contro il governo bandiere tricolori prima di portarle in piazza. Dove oggi, per esempio, la segretaria del Pd Elly Schlein ritorna con Giuseppe Conte e altri amici contro autonomie differenziate e premierato, dopo essere salita festosamente la settimana scorsa sui carri del Gay Pride.
I CONTI DI CONTE
Il Conte in piazza con la Schlein è lo stesso al quale Beppe Grillo in uno spettacolo non so se alternativo o di contorno ad un suo incontro con lui a Roma, ha rimproverato di avere preso nelle elezioni europee “meno voti di Berlusconi da morto”. E -aggiungo- di essere stato molto più che doppiato dal Pd: 9,9 per cento contro il 24 e oltre.