I risultati dell’audit interno di Leonardo incastrano Massimo D’Alema e l’ex ad, Alessandro Profumo, nel Colombiagate (svelato nei mesi scorsi dal quotidiano La Verità).
Ovvero il caso emerso l’anno scorso che vede protagonista l’ex premier D’Alema in qualità di mediatore nella vendita (non conclusa) da 4 miliardi di euro di mezzi militari alla Colombia da parte di Fincantieri e Leonardo, con 80 milioni di euro di possibili e ventilate provvigioni per i mediatori.
Ad oggi Massimo D’Alema e Alessandro Profumo sono tra le otto persone indagate dalla Procura di Napoli per la presunta intermediazione per la vendita alla Colombia di navi, sommergibili e aerei militari prodotti da Fincantieri e Leonardo.
Il 6 giugno sono scattate le perquisizioni nei confronti di quattro indagati (tra cui D’Alema e Profumo) nell’ambito delle indagini dell’ufficio inquirente partenopeo sulla compravendita di navi e aerei alla Colombia.
“Negli atti dell’inchiesta è stato acquisito un audit interno disposto da Leonardo che è stato secretato” scriveva il 7 giugno il Corriere della Sera precisando che “nulla è mai emerso ufficialmente circa gli esiti, ma secondo le indiscrezioni furono rilevate una serie di criticità legate alla policy aziendale”.
Appena esplosa la vicenda della compravendita alla Colombia, le due aziende coinvolte, Leonardo e Fincantieri, partecipate dal ministero dell’Economia, avevano avviato audit interni.
“Va specificato che chi svolge l’audit non ha poteri di polizia giudiziaria e non deve perseguire i reati, ma deve verificare se siano state rispettare le procedure interne. Nel nostro caso la relazione conteneva una lunga seri di rilievi sul mancato rispetto delle stesse” rileva oggi Giacomo Amadori del quotidiano La Verità aggiungendo che “le conclusioni dell’audit sono contenute in un documento classificato e a diffusione limitata, che, però, adesso è stato acquisito nell’inchiesta penale. Qualcuno ha scritto che quel rapporto assolveva Baffino e di fatto chiudeva le indagini interne a tarallucci e vino. Ma non è così”.
Secondo il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, dall’audit interno di Leonardo emerge una contestazione rivolta ai vertici: “hanno messo a disposizione dell’ex premier carte con segreti commerciali. Omettendo informazioni su discussi mediatori scelti da D’Alema per l’affare”.
Tutti i dettagli.
LE INDAGINI IN CORSO
A inizio settimana, su disposizione della Procura di Napoli, la Digos partenopea ha effettuato una serie di perquisizioni nelle abitazioni e negli uffici romani di Alessandro Profumo (in qualità di amministratore delegato di Leonardo all’epoca dei fatti contestati che risalgono a una data prossima al 27 gennaio 2022), dell’ex presidente del Consiglio Massimo D’Alema, di Giuseppe Giordo, ex direttore del settore Navi di Fincantieri e di Gherardo Gardo, nella veste di contabile di D’Alema.
Oltre ai quattro citati, nell’inchiesta sulla compravendita di navi e aerei alla Colombia sono indagati anche Umberto Claudio Bonavita, Francesco Amato, Emanuele Caruso e Giancarlo Mazzotta.
L’ipotesi di reato per tutti e gli otto indagati è corruzione internazionale aggravata. La forma aggravata viene contestata gli indagati in quanto il reato sarebbe stato commesso con l’ausilio di un gruppo criminale organizzato attivo in diversi Stati, tra cui Italia, Usa, Colombia e anche in altri.
COSA EMERGE DALL’AUDIT SECRETATO, SECONDO LA VERITÀ
Mentre le indagini sono ancora in corso, La Verità riporta i risultati dell’audit interno di Leonardo secondo il quale emerge che “D’Alema avesse contattato direttamente l’allora amministratore delegato Alessandro Profumo e lo avesse informato di avere un canale interessante per la vendita armamenti in Colombia”.
COSA AVEVA DICHIARATO ALESSANDRO PROFUMO IN AUDIZIONE IN COMMISSIONE AL SENATO
E fino a qui coincide con quanto comunicato dall’allora ad di Leonardo Alessandro Profumo presso la Commissione Difesa del Senato durante la sua audizione al Senato nell’aprile 2022.
Nel caso specifico, “il presidente D’Alema, anche in relazione alla sua storia istituzionale, ha prospettato a Leonardo che queste opportunità [vendita alla Colombia ndr] possono essere maggiormente concreti ma fin da subito ha chiarito che sarebbe rimasto del tutto estraneo alle future attività di intermediazione” aveva sottolineato Profumo.
“Sulla base di questa soluzione l’azienda ha avviato le attività di verifica della fattibilità di queste ulteriori opportunità” aveva evidenziato l’ ex ad di Leonardo. Nel caso delle trattative con la Colombia che ha coinvolto l’ex premier Massimo D’Alema, “non siamo arrivati alla richiesta del contratto”, aveva rimarcato Profumo.
Se la compravendita effettivamente non si è conclusa, nella trattativa emergono ipotesi di reato secondo gli inquirenti.
LE IPOTESI DI REATO
Gli indagati, si legge nel decreto di perquisizione, si sarebbero “a vario titolo adoperati quali promotori dell’iniziativa economica commerciale di vendita al Governo della Colombia di prodotti delle aziende italiane a partecipazione pubblica Leonardo (in particolare aerei M 346) e Fincantieri (in particolare corvette, piccoli sommergibili e allestimento cantieri navali), al fine di favorire ed ottenere da parte delle Autorità colombiane, la conclusione degli accordi formali e definitivi”.
Per ottenere ciò, secondo i pm napoletani, i consulenti Amato e Caruso “offrivano e comunque promettevano ad altre persone, che svolgevano funzioni e attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio presso le autorità politiche, amministrative e militari della Colombia, il corrispettivo illecito della somma di 40 milioni di euro, corrispondenti al 50% della complessiva provvigione di 80 milioni di euro prevista quale ‘success fee’, determinata nella misura del 2% del complessivo valore di 4 miliardi di euro delle due commesse in gioco e da corrispondersi in modo occulto”.
LA MANOVRA DI PROFUMO
Ed è proprio sullo svolgimento della trattativa che i risultati dell’audit incastrerebbero D’Alema e Profumo, secondo quanto riportato da La Verità.
“D’Alema non aveva nessun mandato, formale o informale, a trattare per conto di Leonardo” in Colombia, aveva ribadito l’anno scorso Profumo presso la Commissione Difesa del Senato.
Tuttavia, secondo l’audit citato da La Verità, l’allora ad di Leonardo Alessandro Profumo “avrebbe ordinato all’allora direttore generale Lucio Valerio Cioffi di trasmettere a D’Alema documenti che riguardavano questa commessa. Un passaggio che sarebbe avvenuto senza le dovute cautele. Infatti si trattava di documenti classificati per cui non sarebbe stato firmato alcun “non disclsuore agreement” (Nda) da parte dei destinatari delle carte che riguardavano caccia militari e sistemi radar”.
“Sarebbe stato indispensabile impegnare gli aspiranti acquirenti e i loro intermediari a non diffondere informazioni sensibili su questioni di cui erano venuti a conoscenza per motivi commerciali, elementi che avevano una certa riservatezza e che che erano riservatezza e che erano, come detto, rigorosamente classificati in ambito aziendale. Ma tutto ciò non è stato fatto e le precauzioni non scattarono a causa del rapporto personale tra Profumo e D’Alema” rimarca il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro.
LA MAIL DAI MANAGER DI LEONARDO A D’ALEMA
A corroborare questo passaggio, La Verità menziona una mail firmata da un manager di Leonardo e indirizzata a Massimo D’Alema.
“Buonasera Presidente, scusandomi per il ritardo, Le invio in allegato alcune brochure che descrivono le soluzioni offerte da Leonardo divisione elettronica per radar aeroportuali e centri air traffic controllo” scriveva il 1 dicembre 2021 Dario M, della divisione aerei di Leonardo vicepresidente senior dei servizi commerciali&clienti secondo La Verità.
Inoltre, il quotidiano aggiunge che oltre alle brochure sopracitate, fu inviato anche “un dettagliato listino prezzi per 24 caccia”, insieme alle brochure di quattro altri prodotti. Insomma, a fianco dei caccia veniva quasi proposto un aeroporto “chiavi in mano”, puntualizza La Verità.
L’OFFERTA DI LEONARDO PROPOSTA ALLA COLOMBIA
Secondo La Verità “L’affare degli M-346 proposti da Leonardo alle autorità colombiane era una sorta di global service. Il pacchetto messo nero su bianco nel documento di 15 pagine prevedeva infatti una flotta di 24 M-346 Fighter attack, supporto logistico e integrato associato e sistema di addestramento a terra, la fornitura di infrastrutture per i centri di formazione e manutenzione. Inoltre Leonardo proponeva un servizio di “Turn key support” della durata di 10 anni svolto presso la base aerea del cliente in Colombia. Con tanto di simulatore di volo e aule multimendiali. Costo totale, 2,132 miliardi di euro”.
VIOLATO IL SEGRETO COMMERCIALE
Quindi tante informazioni commerciali inviate dall’azienda a D’Alema & Co.
“Il segreto aziendale è legato a questioni commerciali, ma richiede la tutela di determinate notizie perché se queste fuoriescono dai corretti canali possono creare un danno alla società. Ecco perché sarebbe stato necessario far firmare un Nda. Cosa che non è accaduta” evidenzia La Verità.
Ma non è finita qui, perché secondo la testata dall’audit emerge anche un altro passaggio illecito avvenuto a livello aziendale in Piazza Monte Grappa.
MANCATA CONDIVISIONE DI INFORMAZIONI
“È stata contestata la mancata condivisione con le strutture competenti delle informazioni che avevano i vertici e che avrebbero garantito una maggiore “compliance” e sicurezza” riferisce La Verità.
“Infatti gli intermediari dell’operazione — specifica La Verità — avevano caratteristiche che per policy aziendale li rendeva incompatibili con Leonardo. Per esempio Giancarlo Mazzotta era coinvolto in diverse inchieste giudiziarie e il Comune, Carmiano, di cui è stato sindaco, è stato sciolto per infiltrazioni mafiose. Ma anche gli altri due indagati, Emanuela Caruso e Francesco Amato, presunti consiglieri del ministero degli Esteri della Colombia, non avevano curriculum consoni al ruolo. Per non parlare degli ex paramilitari coinvolti nell’affare a Bogotà e in contatto con i D’Alema boys: Edgardo Ignacio Fierro Florez e Oscar José Ospino Pacheco entrambi condannati per omicidio a pene pesantissime”.
“Tutti controlli che non sono stati resi possibili dalla mancata comunicazione da parte di Profumo di queste informazioni alla struttura di sicurezza incaricata di questo tipo di attività” rimarca ancora il quotidiano.
SUCCESS FEE PAGATA SÌ O NO?
Infine, qualcosa non torna nemmeno sul tema di success fee.
Nel caso delle trattative con la Colombia che ha coinvolto l’ex premier Massimo D’Alema, “non siamo arrivati alla richiesta del contratto”, aveva sottolineato Profumo in audizione al Senato.
“Invece l’azienda si limitò a proporre un preaccordo capestro con un altro degli indagati, l’avvocato Umberto Bonavita, dove era previsto che il “promotore” venisse pagato anche in caso di insuccesso dell’operazione” segnala La Verità.
Inoltre, l’ex numero uno di Leonardo aveva chiarito che “sul tema delle soglie, delle percentuali”, legato alle trattative per le commesse, possono variare anche in base a elementi come le opportunità di entrare nei nuovi mercati. “Si tratta di ‘success fee’ – spiegava Profumo – che vengono pagate esclusivamente quando il contratto si è concluso ed è stato erogato il pagamento, quando la società ha incassato”. E “nel caso specifico non è stato sottoscritto alcun contratto quindi non si è verificata la condizione necessaria” aveva concluso Profumo.
Altra nota dissonante dai risultati dell’audit, dal momento che oggi La Verità conclude che “Leonardo avrebbe dovuto erogare un importo per compensare la Robert Allen Law di Miami, di cui faceva parte Boanvita, per un ipotetico report di marketing e per le spese sostenute per altre attività. Ai sensi del contratto la Robert Allen aveva comunque diritto al pagamento anche in caso di rescissione dell’accordo da parte di Leonardo”.