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Chi sono i giuristi di sinistra che deludono la sinistra

Dall'abuso d'ufficio alle intercettazioni, passando per il controllo concomitante della Corte dei conti sul Pnrr, da notare i commenti du Flick, Cassese, Mirabelli e altri. Il corsivo di Battista Falconi

 

L’endorsement di Giovanni Maria Flick a favore del ministro Carlo Nordio, relativo all’abuso d’ufficio e alla pubblicazione delle intercettazioni, oggetto di una riforma approvata di recente dal Consiglio dei ministri, segue di pochi giorni quelli di Sabino Cassese, Cesare Mirabelli e altri giuristi in appoggio alla scelta governativa di abolire il controllo concomitante della Corte dei conti sul Pnrr. Si tratta di interventi e dichiarazioni significativi e confortanti, perché attestano la volontà degli esperti di valutare queste importanti modifiche in senso tecnico, senza cadere nel gioco delle parti e quindi dei giudici “pro e contro”, delle norme rispettivamente viste “da destra e da sinistra”. Il ruolo degli esperti dovrebbe essere proprio questo, del resto, di superare contrapposizioni strumentali e ideologiche, ma come abbiamo visto in pandemia le modalità della comunicazione italiana tendono spesso a polarizzare gli expertise, magari esasperando quelle che sono semplici sfumature.

Ciò che ancora più importa è però proprio il merito tecnico di questo fronte trasversale, che potremmo definire come “semplificazione, accelerazione e concretizzazione”. La giustizia, in Italia, soffre di un ritardo atavico e cronico. Penale, civile e amministrativo – complice un coacervo di cause che vanno dalla disorganizzazione degli uffici, alla discrezionalità dell’azione dei magistrati, fino alla successione dei gradi di giudizio – procede con lentezza e in tempi talmente lunghi che vanificano il senso stesso della parola. “Giustizia” è un termine che non attiene soltanto alla rispondenza tra il pronunciamento dell’autorità, il rispetto dei principi normativi e la rispondenza agli accadimenti reali, ma anche alla tempistica con cui il pronunciamento definitivo punisce il colpevole e ristora la vittima.

Se non si assume questo principio come reale e lo si mantiene in una siderea sfera delle buone intenzioni, si perpetra una sostanziale “ingiustizia” della quale tutti, in qualche frangente, abbiamo avuto prova diretta. Questo elemento di astrazione dai tempi reali connota molti altri ambiti della nostra vita sociale. Ne citiamo solo uno. Stiamo assistendo, tra qualche non felicissima espressione di alcuni rappresentanti di governo e la tendenza di certi amministratori locali a presentare richieste non correlate alle disponibilità concrete, a uno scontro sulla ricostruzione post-alluvione in Emilia-Romagna che lascia già presagire come questa triste pagina si protrarrà, seguendo il medesimo schema di tutte le altre “calamità naturali” avvenute nel nostro Paese. Se ci si reca nelle Marche, in Abruzzo, all’Aquila (dopo 14 anni!) si vedono cantieri aperti e città, quartieri, edifici chiusi.

È chiaro che non ci sono motivazioni di carattere finanziario o edilizio sufficienti a giustificare, nel XXI secolo, i tempi biblici con cui il territorio viene ripristinato e migliorato dopo un sisma o un’altra catastrofe. E se però si fa una passeggiata con gli occhi aperti per una qualunque strada italiana ci si rende conto che gli scheletri di opere incompiute o gli spettrali edifici non più o mai utilizzati si susseguono con una frequenza tale che i tempi lunghissimi delle ricostruzioni assumono non più la valenza di un’eccezionale incapacità in casi particolarmente gravi e complessi, ma della regola. Il problema dell’incultura da cui dipendono è in qualche modo consustanziale al nostro modo di vivere, alla nostra sciagurata rassegnazione.

Infine, tornando al pezzo di Flick, un’annotazione di politica più politicante. È significativo che il pezzo sia pubblicato sulla prima pagina di Repubblica, nel momento in cui i due quotidiani Gedi (l’altro è la Stampa) stanno sparando a zero contro il Pd, accusando sostanzialmente la segreteria di Elly Schlein di indecisionismo, vaghezza e anche di inopportunità, dopo che la leader ha partecipato alla manifestazione dei Cinque stelle con uno show comiziale di Beppe Grillo molto contestato. Certamente il gruppo editoriale non ha intenzione di spostarsi in area filo-governativa e nemmeno in quella dialogante del cosiddetto Terzo polo, più probabilmente il contrario: Molinari e Giannini, i direttori dei quotidiani, vogliono “dettare la linea” ai dem, far loro capire che non sono organi di partito e che nell’area piuttosto affollata e confusa dei media avversari della maggioranza meloniana ribadiscono la propria leadership.

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