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Che cosa cambierà Biden nei rapporti Usa con Ue, Cina e Russia. L’analisi di Silvestri

Il discorso di Biden commentato da Stefano Silvestri, direttore editoriale di AffarInternazionali e consigliere scientifico dello IAI.

(Estratto di un articolo pubblicato su Affari Internazionali; qui la versione integrale)

Il discorso di Biden ha ricordato a molti quello del suo predecessore Abramo Lincoln, che del resto il nuovo commander-in-chief ha citato: un presidente che visse la più profonda e drammatica crisi interna americana, la guerra civile tra Unionisti e Confederati.

Oggi, le divisioni, checché ne possano pensare Trump e una minoranza di estremisti facinorosi, non sono fortunatamente così profonde.

Il sistema democratico americano è stato salvato in primo luogo da tutte quelle amministrazioni statali, in mano ad esponenti politici repubblicani, che si sono rifiutate di subire le pressioni di Trump volte a ribaltare il responso delle urne.

Tuttavia, come già Lincoln, anche Biden ha sentito la necessità di ricostruire l’unità del Paese per affrontare le gravissime sfide che ha difronte, prima di tutto la pandemia, che ha già provocato più morti americani di quanti ne provocò la Seconda Guerra Mondiale.

Una inaugurazione drammatica, quindi, anche se aperta alla speranza di una democrazia che è riuscita a superare e domare il ciclone provocato da Trump e dai suoi.

Ma la situazione interna americana resta critica e questo condizionerà inevitabilmente le politiche della nuova amministrazione. Mai come oggi le priorità americane saranno di necessità di natura interna, sia per la lotta alla pandemia sia per la ricomposizione di un largo consenso nazionale, sia infine per la ripresa economica.

Biden potrebbe essere il miglior presidente possibile per riannodare il filo delle grandi politiche multilaterali, per avviare un dialogo positivo con gli alleati e per condurre una politica di controllo e riduzione dei conflitti. Tuttavia, gli Stati Uniti oggi non hanno né il tempo né le risorse per impegnarsi a fondo nella costruzione di nuovi equilibri internazionali attorno alla loro leadership.

Molti esponenti della nuova amministrazione hanno sottolineato la loro volontà di rilanciare una lega delle democrazie di fronte al rafforzarsi e all’espandersi dei regimi totalitari, Cina e Russia in testa, ma non solo.

Allo stesso tempo, però, essi non sembrano intenzionati ad assumere nuovi impegni in Medio Oriente, in Afghanistan e nelle altre aree di conflitto.

Saranno certo molto più disponibili ad un dialogo costruttivo con i loro alleati, ma saranno anche molto riluttanti a compensare le loro debolezze con un maggiore impegno americano.

Al contrario, chiederanno agli alleati un impegno più importante, che alleggerisca il fardello della leadership internazionale e consenta agli Usa di concentrare maggiori risorse al proprio interno.

Il dialogo tra Europa e Stati Uniti sarà più facile che con Trump, questo è evidente, ma le problematiche da affrontare resteranno difficili.

Il rapporto con la Cina, in primo luogo, che già vede posizioni diverse all’interno dell’Unione europea, potrebbe assumere una rilevanza particolare se l’Europa non chiarirà meglio quali saranno i limiti politici e strategici del suo rapporto economico e commerciale con il gigante asiatico.

In un altro campo, benché ci siano molte similitudini tra i democratici americani e gli europei sulla necessità di regolamentare il governo del web e il comportamento dei suoi giganti industriali, il diavolo come al solito è nei dettagli, che potrebbero rivelarsi molto difficili da concordare. Ancora più complessa è la questione di una tassazione delle grandi compagnie dell’online.

Potrebbe rivelarsi meno problematica la questione di come gestire le relazioni con la Russia, ma la necessità di compensare il vuoto lasciato dal parziale ritiro americano dal Medio Oriente peserà sui rapporti transatlantici, riportando in primo piano la questione di un maggiore impegno e maggiori spese europee per la difesa e per la gestione delle crisi.

Non sono questioni da prendere alla leggera. Un’eventuale mancanza di accordo non spingerà Biden a replicare le minacce e le mosse unilaterali di Trump, ma potrebbe rafforzare la tendenza di questa amministrazione a concentrarsi sui problemi interni, mettendo in secondo piano gli impegni internazionali.

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