Di seguito un estratto dal libro “Pornoliberismo” di Andrea Venanzoni, edito da Liberilibri:
Internet ha desertificato quel mondo ctonio e saturnino ma non ha fatto venir meno, e anzi in certi casi ha persino amplificato, tutti i problemi posti da ciò che linguaggi politicizzati hanno rubricato come mercificazione del sesso o come sessualità alternativa. Ha travolto anche le riviste attraverso cui, lettera dopo lettera, gli scambisti finivano per incontrarsi, per giocare a casa, o per esplorare i primi club privé o per visitare di notte i parcheggi e le aree di sosta.
Il digitale ha fatto decomporre un mondo, ma da quelle macerie è sorto un mondo nuovo. App di dating e siti web hanno accelerato le conoscenze, amplificato la viralità delle possibilità di incontri e di piacere, e del pari garantito la privacy, cioè l’oscura vitalità dei propri piaceri.
Ma questa oscurità, questa facilità negli approcci, se è stata preziosa alleata nel divellere barriere, spesso dettate dalle complicazioni di rituali di approccio e corteggiamento, come ha sottolineato la storica Moira Weigel, dall’altro lato si è rivelata preziosa alleata anche dello status quo; perché ha sprofondato il piacere della carne nel vortice della non-rappresentazione, agevolando il lavoro di chi ritiene che certe cose possano essere fatte purché lontano da occhi indiscreti e purché non se ne parli, nei giusti termini.
Esiste un giusto termine per affrontare i piaceri della carne? Certamente sì. Non si parla di un codice, di un galateo semantico e dialogico, ma della necessità che il sesso, e tutti i piaceri che esso porta con sé, e le attività, commerciali o ricreative, legate alla sessualità, vengano sempre filtrati dalla sensibilità e dalle personalità individuali. Al contrario, erotismo, pornografia, lussuria sono stati utilizzati come tabù, come strumenti da celare e da rendere quasi mitologici, al fine della piena determinazione del controllo sociale.
In Giappone, la commissione di censura governativa, l’Eirin, passa il proprio tempo ad apporre fastidiosi pixel digitali sui genitali di attori e attrici nei film porno, per evitare che il normale fruitore possa accedere alla visione dell’atto sessuale. In realtà, l’atto sessuale e i genitali non possono essere mostrati perché essi, conformemente ai miti di fondazione dello Shintō, appartengono ai misteri che solo il Mikado può conoscere. Tutti gli altri, i comuni mortali, devono accontentarsi di fastidiosi video porno in cui la penetrazione è bandita, o se preferiscono devono rivolgersi a loro rischio e pericolo ai burusera, i sex-shop gestiti dalla mafia, dove vengono venduti video che contravvengono ai precetti dell’Eirin.
Eppure il Giappone ha prodotto una delle industrie pornografiche più floride e radicali del mondo, alcune delle pratiche più estreme ed ha una prostituzione rinomata in Asia. Non si tratta, in apparenza, di una società sessuofobica. È stato il mercato a ridare ai cittadini quanto il potere, religioso e politico, aveva negato loro. Il mercato nero dei burusera per i video porno “classici”, il mercato tout court per la creazione di fantasiosi, spesso estremi video che hanno sublimato l’intensità della penetrazione senza però mai mostrare alcuna penetrazione.
Libertà di scambio, incontro di volontà, di domanda e offerta, e intrinseca volontà di godere dell’essere umano hanno sconfitto la cappa censoria del potere, la morte nera della libido rappresentata dalla burocratizzazione delle espressioni sessuali.
L’erotismo, come scriveva Bataille, è esattamente la prosecuzione della vita fin dentro la morte e proprio per questo non c’è dubbio alcuno che un tale scintillio di tenebra abbia sin dalla notte dei tempi inquietato l’essere umano e soprattutto le forme di convivenza organizzata che l’uomo si è voluto dare. Il sesso, da sempre, non è soltanto un piacere, ma è prima di tutto una delle modalità più forti di comunicazione, di scambio, anche simbolico, di informazioni e proprio per questo di libertà. Non a caso, in quel tanto deprecato e negletto spazio di libertà che è il mercato, forgiato dall’incontro di scelte, preferenze, gusti, bisogni, desideri, anche il sesso ha lasciato germinare, tra domanda e offerta, un suo proprio segmento.
La moralizzazione dei costumi, il perbenismo, il proibizionismo, l’ipocrisia che lascia accadere certe cose in un’area grigia, interstiziale, senza che se ne possa parlare, sono figli di una visione paternalistica dei rapporti umani e soprattutto sedimentano il potere di forme pubbliche che controllando i desideri, anche sessuali, degli individui, tengono sotto il tallone l’autodeterminazione delle persone.
Non si tratta quindi solo di una eticizzazione di matrice religiosa, ma di dinamiche da autentico Stato etico che giudica, stampigliando la metaforica etichetta della oscenità e della perversione sulle loro carni, i propri cittadini, indirizzandoli lungo la retta via dell’obbedienza. Impossibile negare infatti che il sesso, in tutte le sue multiformi sfaccettature, abbia una fortissima componente libertaria ed eversiva di un ordine monolitico, granitico, basato su presupposti collettivizzanti: perché il sesso, quando consapevole, quando connesso alla radice profonda e razionalizzata dei propri gusti individuali, è autocoscienza, modellazione piena della propria personalità.
Il valore liberatorio del sesso e i suoi nemici, potremmo dire. Stato e dottrine religiose monoteiste, in cui più è marcato l’approccio regolatorio e giuridico ai parametri esistenziali e in cui più difficile è la distinzione tra sfera sociale e lato religioso. Marxismo e nuova sinistra, i quali, per fini di controllo e di consolidamento dello status quo, hanno sprofondato l’erotismo e la sessualità nell’abisso della negazione e della punizione. Anche quando, se non addirittura soprattutto, hanno cercato di infondere dentro di essi il germe della politicizzazione.
Oscillante tra repressione amministrativa o addirittura penale, scomunica sociale, metaforiche lettere scarlatte da pervertito, e impossibilità di ammissione nel cuore del dibattito di certe pratiche o tematiche, il sesso è stato fatto rifluire al silenzio quasi più completo. Un silenzio umbratile, nonostante di parole che lo hanno riguardato ne siano state dette e scritte tante, troppe. Parole sensazionalistiche, banali, che lo hanno volgarizzato e collettivizzato.
È stato spogliato, scarnificato, normalizzato. È stato privato della sua forza comunicativa ed eversiva. Giudicato, riposto in un cantuccio, oppure bulimicamente sovrarappresentato come pruderie esibita, sdilinquito nel magma di un information overload dagli apparati statali e dagli intellettuali, dalle famiglie preoccupate e dalle femministe. In questo non c’è alcuna vera differenza tra il radicale di sinistra anni Settanta, “libertario” per modo di dire, decostruzionisti, teorici critici, e fanatici religiosi, censori statali, teorici del pan-penalismo applicato al sesso. Tutti hanno contribuito, in vario modo, in vario grado, a vilificare il sesso visto come vera, genuina libertà e come affermazione individuale.
In questo volume verranno quindi ripercorsi tutti quegli elementi legati alla sessualità che la società ha voluto occultare o criminalizzare o normalizzare. Dalla prostituzione alla pornografia, dal sadomasochismo allo scambismo, fino alla stessa omosessualità fatta rifluire a noioso dispositivo politico e a piattaforma rivendicativa di diritti. Il libro si interroga su come ciascuna di queste aree, spesso immersa in una coltre grigia di invisibilità o oggetto di attenzione cronachistica o peggio ancora giudiziaria, debba tornare a scintillare della viva luce della libertà.