I dazi sospesi da Trump e la risposta rinviata dall’Unione Europea non hanno certamente tolto l’argomento dall’agenda della premier Gorgia Meloni, ormai in partenza per l’incontro di giovedì prossimo col presidente americano alla Casa Bianca. Una missione nella doppia, anzi triplice veste di amica “formidabile”, alleata e politicamente consanguinea, diciamo così, per l’appartenenza alla comune famiglia internazionale dei conservatori.
La strage della domenica delle Palme in Ucraina, nel raid russo a Sumy che ha provocato 35 morti e più di 100 feriti tra fedeli che stavano andando a messa, ha forse modificato le priorità dell’agenda della Meloni. Che ha definito quello del “bastardo”, come il presidente ucraino Zelensky ha chiamato Putin, “un attacco vile e orrendo”. Persino a Trump, paziente con Putin sino a capovolgerne il ruolo da aggressore ad aggredito pensando di strappargli una tregua vera, non la prosecuzione ancora più atroce della guerra; persino Trump, dicevo, sembra sia sbottato contro “il limite ormai superato” dal presidente russo. Che fra un incontro e l’altro con gli emissari di Putin spediti al Cremlino continua ad ordinare stragi di civili e abbattimenti di infrastrutture ucraine non militari ma ospedaliere, scolastiche e ora anche chiese e dintorni. Un’autentica vergogna, suppletiva di quella già costituita da una guerra di aggressione.
Giorgia Meloni, a parte l’infortunio della “stanchezza” in cui incorse rispondendo telefonicamente ad un comico russo scambiato a Palazzo Chigi per un presidente africano, non ha mai esitato a confermare il sostegno all’Ucraina anche dopo il cambiamento di registro, di tono e quant’altro intervenuto negli Stati Uniti con l’avvicendamento fra Joe Biden e Donald Trump alla Presidenza. Un cambiamento al quale la Meloni, se fosse mai tentata di abbassare pure lei la guardia, potrebbe cedere solo al prezzo di una frattura nell’Unione Europea ancora più seria di quella attribuitale neppure tanto dietro le quinte sul fronte dei dazi. Dai quali la premier italiana ha dissentito quando Trump li ha aumentati sbandierando la sua solita firma a forma di torri davanti alle telecamere, ma senza drammatizzarli. Anzi protestando contro l’”allarmismo” degli avversari del presidente americano.
Sull’Ucraina e dintorni, diciamo così, la Meloni sarà costretta dal suo ruolo e dalle sue stesse convinzioni a fronteggiare Trump anche a costo di fargli perdere quel già poco di pazienza che ha maltrattando gli ospiti e reclamando baci ai suoi glutei imperiali, o quasi. Che neppure Michelangelo riuscirebbe a trasformare in un’opera d’arte.