Vance è uno scrittore di successo, con il suo memoir Elegia americana dedicato ai bianchi poveri e dimenticati dell’Ohio, ma dal punto di vista professionale e politico è una creatura di Peter Thiel, il decano dei signori della tecnologia, fondatore di PayPal, tra i primi investitori di Facebook, poi fondatore dell’azienda di cybersicurezza Palantir. E tra i primi, già nel 2016, a sostenere Donald Trump con una convinta adesione ideologica, non soltanto per mera convenienza.
Vance, dopo aver frequentato la scuola di legge di Yale, ha praticamente lavorato soltanto per Peter Thiel o in aziende fondate da Thiel.
Nella fase finale della campagna elettorale 2024 e nelle prime settimane dopo l’insediamento della nuova amministrazione, è poi stato completamente oscurato da Elon Musk che ha agito come un co-presidente.
Adesso, alla sua prima uscita significativa, JD Vance si presenta proprio come è percepito da molti: il portavoce di quella parte di Silicon Valley che si è convertita al trumpismo e che vuole usare la nuova amministrazione come il più efficace strumento di lobbying disponibile per smantellare le regole europee, unico vero argine allo strapotere delle Big Tech.
Con il suo tono assertivo che imita quello di Trump, Vance ha dettato le sue condizioni in quattro punti. Punto primo: l’intelligenza artificiale deve rimanere il “gold standard nel mondo”, che è un po’ come dire che gli europei non devono provare a sviluppare la loro, secondo la dottrina della autonomia strategica promossa proprio dal padrone di casa, Emmanuel Macron.
Il riferimento al gold standard, che è un concetto monetario, allude anche la fatto che gli Stati Uniti vogliono trarre il massimo beneficio possibile dal fatto che siano aziende americane a dominare il settore: come quando l’oro garantiva in teoria il dollaro l’America poteva indebitarsi senza svalutare la moneta, così nell’era dei dati vogliono dominare il settore ed estrarre il massimo valore dai partner senza fastidi.
Punto secondo: Trump, Vance e gli oligarchi digitali dietro di loro si aspettano che anche da questo lato dell’Atlantico si respiri – dice Vance – “il profumo di deregolamentazione” che si avverte negli Stati Uniti e che non si mettano troppi paletti all’intelligenza artificiale ora che il settore sta nascendo.
Anche qui, chi deve capire capisce: l’amministrazione sta chiedendo all’Unione europea di ammorbidire l’Artificial Intelligence Act, la normativa europea in materia.
Punto terzo nelle richieste di Vance: l’intelligenza artificiale deve rimanere libera da “distorsioni ideologiche”, e non essere sottomessa a “censure autoritarie”. Questa parte va tradotta: Vance sta contestando il diritto dell’Unione europea di limitare la disinformazione, le fake news, e la diffusione di odio online.
Il bersaglio polemico è in particolare una legge che si chiama DSA, Digital Service Act, che fissa le responsabilità delle grandi piattaforme nel tutelare la qualità del dibattito pubblico. Indovinate quale piattaforma digitale è sotto indagine da parte della Commissione europea già da fine 2023? Esatto, X, cioè quel che resta di Twitter dopo che Elon Musk lo ha comprato nel 2022.
A luglio 2024 la Commissione ha presentato le prime contestazioni precise a X che riguardano proprio molte delle innovazioni portate da Musk dopo che ha comprato e riformato Twitter nel 2022: i badge con la spunta blu, assegnati ora a pagamento invece che agli utenti più autorevoli verificati dalla piattaforma, creano confusione e permettono a chi vuole diffondere disinformazione di comprarsi una patente di credibilità.
Poi X non rispetta i requisiti di trasparenza sulle inserzioni pubblicitarie, non adempie all’obbligo di tenere un registro pubblico di tutte le pubblicità che ospita, e questo è lo strumento che ha permesso per esempio di scoprire le attività di propaganda anti-europea orchestrate dalla Russia su Facebook durante la campagna elettorale per le elezioni di giugno 2024.
Queste contestazioni, che possono portare a multe fino al 6 per cento del fatturato globale della piattaforma, sono particolarmente fastidiose per Elon Musk e dunque Vance intima all’Unione europea di smetterla.
Per Vance, l’intero approccio alla disinformazione europeo equivale a censura: un conto è proteggere i bambini sulle piattaforme digitali, un altro – dice – è impedire a persone adulte di confrontarsi con opinioni legittime, vere o false che siano.
Il quarto e ultimo punto delle richieste del vice presidente è interessante perché indica in realtà una fragilità, o almeno una linea di faglia, nell’approccio dell’amministrazione Trump alla regolazione digitale.
JD Vance ci tiene a specificare che il suo governo difende una intelligenza artificiale che sia “pro worker”, a sostegno dei lavoratori, che li renda più produttivi invece di renderli obsoleti.
(Estratto da Appunti)