Skip to content

barbara negri asi luna

Perché si lavora al ritorno sulla Luna 54 anni dopo il primo sbarco umano

Conversazione di Enrico Ferrone con Barbara Negri, responsabile del volo umano dell’Agenzia Spaziale Italiana (Asi)

 

Dottoressa Barbara Negri, nel luglio 1969 si materializzava una grande avventura con l’allunaggio degli astronauti dell’Apollo 11 Neil Armstrong e Buzz Aldrin sul Mare della Tranquillità. Fu il sigillo posto per certificare la vittoria di una grande competizione tra le due massime potenze mondiali. Un evento storico definito dal presidente degli Stati Uniti Richard Nixon il più grande dopo la Creazione. A distanza di oltre mezzo secolo ancora qualcuno si domanda a cosa è servita quella missione spaziale.

La Luna è stata oggetto di attenzione e interesse fin dai primi sguardi dell’homo sapiens, quando smise di occuparsi esclusivamente della sua alimentazione e del come proteggersi dalle intemperie naturali. E fu allora che ebbe inizio la fase della curiosità, che ha portato alla conoscenza e di conseguenza alla Scienza. Capire cosa fosse, quanto fosse distante e come raggiungerla ha accompagnato lo sviluppo della nostra evoluzione. Fino a diventare un punto reale di sbarco. E lo è stato fino al 1972, anno in cui con l’ultima missione, si concluse il programma Apollo. Mandare l’uomo sulla Luna era un’impresa molto costosa e poi probabilmente il motivo principale fu che l’opinione pubblica aveva perso l’interesse per l’obiettivo ormai raggiunto. Lo scienziato Wernher von Braun aveva già delineato l’avventura verso Marte come prossimo obiettivo, ma poi l’ambizione non si concretizzò.

Però adesso sulla Luna si ritorna.

Andare sulla Luna nel XXI secolo però è un’altra storia. Una storia che nasce con la decisione della Nasa di terminare nel 2030 le operazioni scientifiche e tecnologiche che si stanno conducendo a bordo della Stazione Spaziale, che viaggia a circa 400 km di quota dal nostro globo. La stazione, dalla sua messa in opera ha fornito tante risposte alla fisica, alla chimica, all’adattabilità in condizioni di microgravità, in pratica a tutte le scienze umane, medicina compresa. È una fase ormai terminata a cui bisogna andare oltre. Della Stazione Spaziale si occuperanno i privati che potranno utilizzare questo avamposto, opportunamente integrato con nuovi moduli, con obiettivi di commercializzazione. E la Luna diventerà una nuova sfida per la Nasa e i suoi partner, un nuovo paradigma tecnologico con l’attivazione di una stazione orbitante attorno al nostro satellite, un vettore adeguato al trasporto di equipaggi e materiale e anche l’installazione di un laboratorio permanente sulla superficie lunare da cui operare in assoluta sicurezza.

La Luna è stata una sfida ma anche un bisogno di esplorazione. Oggi le condizioni per cui sono state progettate le missioni sono diverse: andare sul nostro compagno di viaggio avrà solo una vocazione scientifica o si prospettano anche ritorni commerciali?

La parte industriale di queste missioni lunari è molto complessa. Certamente quello che tecnologicamente funziona sulla Luna potrà avere dei ritorni anche sulla Terra. Mi spiego con un esempio che può interessare tutti: l’osteoporosi è una patologia di fragilità ossea che colpisce soprattutto in età avanzata. Nello spazio, a causa dell’assenza di gravità, vengono accelerati i processi di osteoporosi, fortunatamente reversibili al ritorno sulla Terra. Se ne sono studiate le cause e sono stati individuati anche alcuni rimedi. È già questo un importante ritorno degli investimenti. Ma a differenza della Stazione Spaziale che è così vicina alla Terra, la Luna impone una serie di criteri in cui è necessario costruire quanto più possibile un ambiente autonomo e sostenibile. Abbiamo molta strada da fare in quella direzione. Poi c’è un discorso più futuribile: alcuni materiali selenici potrebbero essere assai utili alla nostra economia ma meglio ancora, alcune sostanze saranno utili per costruire oggetti direttamente in loco. Sono discorsi lontani ma per adesso sono investimenti importantissimi e bisogna esserci.

La Luna è un satellite da cui distiamo circa 380.000 km. Rispetto alle distanze siderali è una piccola virgola. In una Terra che sta moltiplicando i suoi abitanti, un domani la Luna potrebbe essere una base di lancio per raggiungere altri mondi. Perché un giorno il genere umano dovrà lasciare questa Terra.

Un giorno questo accadrà. È la fisica che dà la risposta: e parte dal diagramma di Hertzsprung-Russel che rappresenta la magnitudine delle stelle in funzione della temperatura e viene utilizzato per comprendere l’evoluzione stellare. Tutto ha un inizio e una fine. Per continuare ad essere stelle vive, i soli bruciano elementi sempre più pesanti espandendosi fino a diventare giganti rosse per poi contrarsi fino alle dimensioni di una nana bianca. Sarà così per la nostra stella madre. Ed è una ipotesi plausibile del nostro sistema solare. Ci vorrà qualche miliardo di anni, fortunatamente, in cui ci sarà un degrado fino alla distruzione o alla generazione di un ambiente di vita incompatibile. Insomma, come diceva Stephen Hawking, se la nostra specie vorrà sopravvivere, dovrà spostarsi in un altro mondo. E poiché gli uomini e le donne del pianeta Terra, oltre ad avere la capacità di pensare e sognare, hanno anche una grande voglia di sopravvivenza, la strada da percorrere è necessariamente questa. È una capacità di evolversi. Oggi sappiamo che andare in un altro pianeta imporrà un adattamento ma dovrà essere assistito dalla tecnologia. Per capirci, se gli astronauti si insedieranno sulla Luna, si dovrà accettare che sarà necessario proteggersi dalle radiazioni cosmiche perché sul nostro satellite naturale non c’è nessuna protezione di atmosfere e manca un campo magnetico. Per questo gli insediamenti saranno necessariamente protetti. Analogamente saranno necessari, sia pur con altre condizioni, per una probabile vita su Marte. Ecco, è un esempio di come sia Luna che Marte saranno delle palestre su cui testare tutti i modi di sopravvivenza in ambienti estremamente ostili per l’uomo. Io però non sono convinta che saranno quelli i luoghi in cui la popolazione del pianeta Terra avrà la sua dimora. La nostra specie probabilmente dovrà trovare un nuovo destino in altri sistemi stellari, probabilmente su un esopianeta “gemello” della Terra. Quando ci sarà la tecnologia per arrivarci.

Quindi ci sono alternative alla Terra al di fuori del sistema solare? Anche se non immediate.

Al momento sono stati individuati numerosi pianeti extra-solari rocciosi e di dimensioni comparabili con la Terra; alcuni di questi si trovano ad una distanza dalla loro stella, in quella che definiamo “fascia di abitabilità”, in cui se ci fosse acqua sarebbe allo stato liquido. Ovvero la distanza dalla loro stella madre ha un range di temperature che consente potenzialmente la vita. È un discorso molto futuro ma sappiamo che la tecnologia funziona passo dopo passo. Noi siamo all’inizio del percorso e stiamo affrontando tantissimi problemi, di vivibilità, di sostenibilità e di soluzioni tecnologiche che permettano la possibilità di sopravvivenza della nostra specie da qualche altra parte nell’Universo. E se questo sarà possibile in un lontano futuro, lo dovrà anche grazie agli studi e alla ricerca che noi donne e uomini del pianeta Terra abbiamo costruito.

Torna su