Proseguono le scaramucce tra Facebook e gli stati nazionali. Dopo aver bloccato gli account dell’allora presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump, ora è la volta dell’Australia.
Se per la censura di Trump si può immaginare una eterodirezione, lo stop alla condivisione di link e notizie da parte degli utenti e le pagine australiane è una risposta del gigante di Menlo Park al varo di una norma, in discussione in Parlamento australiano, che impone alle piattaforme digitali (come Google e Facebook) di pagare gli editori per la condivisione delle news.
Easton (Facebook Australia): “Fraintesa la relazione tra Facebook e gli editori”
La modifica al Consumer Act 2010 era in discussione da qualche settimana e Facebook aveva minacciato battaglia. “La proposta di legge australiana – scrive William Easton, Managing Director, Facebook per Australia e Nuova Zealand nella newsroom di Facebook – fondamentalmente fraintende la relazione tra la nostra piattaforma e gli editori che la utilizzano per condividere contenuti di notizie. Ci ha lasciato di fronte a una scelta netta: tentare di rispettare una legge che ignora la realtà di questa relazione o smettere di consentire la condivisione di notizie sui nostri servizi in Australia. Con il cuore pesante, scegliamo quest’ultima strada». Gli editori internazionali potranno continuare a pubblicare contenuti su Facebook, ma i link e i post non potranno essere visti o condivisi dal pubblico australiano.
I numeri di Facebook per i media australiani
Secondo l’azienda di Zuckerberg il Governo australiano avrebbe adottato una norma inutilmente punitiva perché “lo scambio di valore tra Facebook e gli editori va a favore degli editori” in quanto nel solo 2020 “Facebook ha generato circa 5,1 miliardi di referral gratuiti a editori australiani per un valore stimato di 407 milioni di dollari australiani”. Senza considerare che per Facebook il guadagno sulle notizie sarebbe minimo in quanto costituiscono meno del 4% dei contenuti che le persone vedono nel loro feed. “Il giornalismo è importante per una società democratica – si continua a leggere sul post di William Easton -, motivo per cui creiamo strumenti dedicati e gratuiti per supportare le testate giornalistiche di tutto il mondo nell’innovazione dei loro contenuti per il pubblico online». In sostanza: aiutiamo il giornalismo ma solo alle nostre condizioni. Difatti Facebook ha da poco lanciato Facebook News negli Stati Uniti e in altri Paesi. L’azienda afferma che avrebbe fatto lo stesso anche in Australia ma “Ora daremo la priorità agli investimenti in altri Paesi”.
La reazione del premier australiano
Il premier australiano Scott Morris ha usato proprio Facebook per reagire alla decisione censoria del social network. “Non ci faremo intimidire” ha scritto Morrison. Nonostante il blocco messo in atto da Facebook, il premier australiano è deciso ad andare avanti. La prossima settimana dovrebbe arrivare anche l’ok dal Senato al discusso disegno di legge. Lo scorso mercoledì era stata la Camera bassa a dare il suo assenso. Il premier Morrison, nel suo post, ha aggiunto che sebbene le grandi aziende tecnologiche stiano cambiando il mondo, non vuol dire che debbano gestirlo. “La decisione di Facebook di togliere l’amicizia all’Australia, bloccando le informazioni essenziali sui servizi sanitari e di emergenza, è tanto arrogante quanto spiacevole – ha scritto il Premier. Sono in contatto con i leader delle altre nazioni su questa questione”. Facebook ha poi sbloccato le pagine erroneamente oscurate che riportavano informazioni essenziali come quelle del Ministero della Salute.
Facebook’s actions to unfriend Australia today, cutting off essential information services on health and emergency…
Pubblicato da Scott Morrison (ScoMo) su Mercoledì 17 febbraio 2021
Google: l’accordo Murdoch e i media australiani
Anche Google ha provato a contrastare la norma australiana ma alla fine, è scesa a patti con il Governo di Camberra. Negli ultimi giorni Google ha siglato accordi con tre principali media australiani e ha accettato di pagare la News Corp di Rupert Murdoch per i contenuti dei siti di notizie della sua corporation.