Altro lunedì nero per il chipmaker cinese Semiconductor Manufactoring International Corporation (Smic).
Il titolo Smic ha perso fino al 7,9%, oggi, alla Borsa di Hong Kong, sulla notizia delle restrizioni Usa all’export verso il gruppo cinese. Le restrizioni potrebbero escludere il produttore cinese da apparecchiature e software statunitensi fondamentali.
Smic ha dichiarato di non avere ricevuto notifica delle sanzioni imposte dal Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti, e di non avere legami con l’esercito cinese.
Ma i resoconti dei media sono stati sufficienti a preoccupare gli investitori. Anche sulla piazza di Shanghai, le azioni Smic hanno perso oltre il 7%.
Lunedì 8 settembre, il titolo aveva già fatto un tonfo del 23% a Hong Kong, perdendo 4 miliardi di dollari. Un quinto del loro valore. Sulla scia dei rumors sulle sanzioni Usa in arrivo.
Dopo la notizia delle possibili sanzioni americane, la Cina promette di intraprendere “misure necessarie per proteggere i diritti e gli interessi legittimi delle aziende cinesi”.
Tutti i dettagli.
COSA SUCCEDE ORA PER I CHIP DEL PRODUTTORE CINESE
I fornitori di determinate apparecchiature a Smic dovranno ora richiedere licenze di esportazione individuali. Secondo una lettera del Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti datata venerdì e vista da Reuters.
Tuttavia, come sottolinea la Cnn, il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti non ha ancora aggiunto l’azienda cinese alla sua Entity List. Il Dipartimento del Commercio non ha risposto a una richiesta di commento al di fuori del normale orario lavorativo.
I RISCHI SECONDO WASHINGTON
Tuttavia, secondo una copia della lettera vista dal Financial Times, il dipartimento del commercio Usa sostiene che le esportazioni da aziende americane verso Smic rappresentano un “rischio inaccettabile” di essere dirottate verso un “uso finale militare”.
I PROGRAMMI DI SMIC
Semiconductor Manufactoring International Corporation rappresenta uno dei campioni nazionali della Cina. Inoltre è una parte importante della spinta di Pechino a forgiare un’industria nazionale di chip autosufficiente.
A luglio, la società con sede a Shanghai aveva raccolto quasi 7 miliardi di dollari in una quotazione secondaria sullo Star Market di Shanghai, la risposta cinese al Nasdaq.
La società aveva dichiarato che intende utilizzare i fondi per sviluppare capacità aggiuntiva per la produzione di chipset avanzati.
COME SE LA CAVA IL COLOSSO DEI SEMICONDUTTORI CINESI
Come ricorda il Ft, “dal 2019 Smic ha firmato ordini per un valore di oltre 2 miliardi di dollari con le società statunitensi Applied Materials e Lam Research. Le attività americane sono state rispettivamente i primi e i terzi fornitori di apparecchiature di Smic tra il 2017 e il 2019, secondo il prospetto di quotazione”.
ARRIVANO LE INTERFERENZE AMERICANE
Pertanto, le restrizioni rischiano di frenare il piano del chipmaker cinese in quanto si basa su apparecchiature prodotte da società provenienti dagli Stati Uniti o da nazioni alleate degli Stati Uniti.
Come riporta il Financial Times, gli analisti affermano che il divieto degli Stati Uniti rappresenta una grave minaccia per il produttore di chip.
Per gli analisti di Morningstar, per esempio, sarebbe difficile per le sole aziende cinesi fornire a Smic le apparecchiature necessarie per produrre chip.
LA REAZIONE DI PECHINO
Nonostante manchi ancora la conferma da parte del Dipartimento del commercio statunitense, Pechino non ha risparmiato critiche per la mossa di Washington. La Cina “si oppone all’uso generalizzato del concetto di sicurezza nazionale da parte degli Stati Uniti”. Lo ha dichiarato il portavoce del Ministero degli Esteri di Pechino Wang Wenbin. Pechino accusa di violare i principi dell’economia di mercato e delle regole economiche e commerciali internazionali, e di abusare del controllo delle esportazioni e di altre misure restrittive a danno delle imprese cinesi. “La Cina continuerà ad adottare le misure necessarie per salvaguardare i diritti e gli interessi legittimi delle imprese cinesi”, ha concluso Wang.
LA GUERRA USA-CINA
Qualsiasi tipo di divieto di esportazione di Washington per l’azienda cinese segnerà dunque l’ennesima escalation delle tensioni tra le due maggiori economie del mondo. La guerra Cina-Usa passa infatti (e soprattutto) sui chip.
Dal momento che la Cina spende molto per diventare uno dei principali produttori di semiconduttori, occorre rendere anche gli Stati Uniti un luogo attraente per gli stabilimenti come Taiwan, Cina, Corea del Sud, Singapore, Israele e parti dell’Europa. È quanto sostiene la Semiconductor Industry Associationin (Sia) in un report pubblicato la settimana scorsa.
Proprio la settimana scorsa l’industria dei semiconduttori statunitense ha affermato che saranno necessari fino a 50 miliardi di dollari di incentivi federali per fermare la tendenza decennale di spostamento della produzione all’estero.
Secondo il rapporto “solo il 6% della nuova capacità globale di sviluppo sarà situata negli Stati Uniti. Al contrario, la Cina aggiungerà circa il 40% della nuova capacità nel prossimo decennio e diventerà il più grande sito di produzione di semiconduttori al mondo”.