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Non solo rider, come si muoverà l’Ue per riorganizzare la gig economy

La Commissione Ue avvia una consultazione per regolamentare i lavoratori della gig economy: verso un direttiva comunitaria? Tutti i dettagli

 

La Commissione europea fa il primo passo per occuparsi dei lavoratori della gig economy: un altro fronte aperto nello sforzo di regolare l’ecosistema digitale inaugurato dalla Commissione guidata da Ursula von der Leyen.

Bruxelles ha infatti avviato una consultazione delle parti sociali su possibili azioni da intraprendere da parte dell’Unione europea quanto alle condizioni di lavoro dei lavoratori delle piattaforme online. Rider e autisti, ma non solo.

UE: GIG ECONOMY OPPORTUNITA’, MA CONDIZIONI PRECARI PER LAVORATORI

“Il lavoro tramite piattaforme, in rapido sviluppo e in un ambito crescente di settori di attività, può offrire maggiore flessibilità e più opportunità di lavoro e di reddito aggiuntivo anche a coloro che potrebbero avere maggiori difficoltà di ingresso nei mercati del lavoro tradizionali”, spiega la Commissione, secondo cui circa l’11% della forza lavoro europea avrebbe già prestato servizi attraverso app. Tuttavia, forme di lavoro della gig economy sono anche associate “a condizioni precarie, che si manifestano nell’assenza di trasparenza e prevedibilità degli accordi contrattuali, in problemi di salute e sicurezza e nell’insufficiente tutela sociale”. A queste si aggiungono “la dimensione transfrontaliera delle piattaforme digitali” (classico aggancio dell’Ue per intraprendere iniziative legislative) e “la questione della gestione mediante algoritmi”. Se Bruxelles riconosce i meriti delle app di delivery che sono diventati un anello fondamentale per gli approvvigionamenti durante i lockdown, d’altra parte mette in luce la situazione particolarmente vulnerabile dei rider.

UNA CONSULTAZIONE PER AZIONI A LIVELLO UE

L’obiettivo della prima fase della consultazione, che resterà aperta almeno fino a inizio aprile, è raccogliere le opinioni delle parti sociali europee sulla necessità e sulla direzione di un’azione a livello Ue. Un secondo momento dello scambio di vedute si occuperò invece del contenuto delle possibili iniziative dell’Ue per migliorare le condizioni di lavoro nella gig economy. La consultazione resterà aperta per almeno sei settimane.

LE DIVERSE SENTENZE UE

L’iniziativa arriva poco dopo una serie di sentenze di Corti nazionali dell’Unione europea che si sono pronunciate sull’inquadramento giuridico del lavoro via app: se in Olanda i rider di Deliveroo – uno dei big del settore delle piattaforme consegne a domicilio – sono stati riconosciuti come dipendenti, in Italia, quasi contemporaneamente, un tribunale è andato in tutt’altra direzione, parlando di lavoro autonomo (successivamente è intervenuta la Procura di Milano parlando di lavoro coordinato e continuativo). Fuori dall’Ue, anche il Regno Unito, con la Corte Suprema, si è mosso nel senso di riconoscere più diritti agli autisti di Uber: la piattaforma controlla ogni aspetto del loro lavoro, dalla fissazione della tariffa alle loro comunicazioni con i passeggeri, fino ai numeri delle corse cui possono rinunciare prima di essere penalizzati; per questo bisogna controbilanciarne il potere fissando un salario minimo e ferie retribuite.

LE MOSSE DEL PARLAMENTO UE

Il Parlamento europeo, sui diritti dei lavoratori delle piattaforme, ha però già giocato d’anticipo e avviato un lavoro politico di riflessione in attesa che la Commissione si decida a fare il primo passo. La macroniana Sylvie Brunet è la relatrice del rapporto di iniziativa legislativa sui diritti dei lavoratori delle piattaforme, e assicura un impegno su tutti i fronti per garantire condizioni di lavoro in sicurezza, una protezione sociale adeguata e algoritmi più trasparenti. E anche una definizione di “lavoratori delle piattaforme” che sia il più inclusiva possibile. “Oggi il nostro primo pensiero va a Uber, ma la verità è che non sappiamo come sarà il futuro. La definizione dovrà essere ampia”.

 

NON SOLO RIDER

Non sono quindi autisti e rider delle consegne a domicilio – come sta facendo in parallelo la Spagna, con un tentativo di legiferare ad hoc -, per quanto siano i più riconoscibili rappresentanti della categoria della gig economy. C’è tutto un caleidoscopio di lavoratori – dai dog sitter agli avvocati, fino a chi si occupa di telemedicina – l’allocazione dei cui servizi sul mercato dipende dal funzionamento degli algoritmi delle app. Benché il comune denominatore sia la natura atipica del loro lavoro, una necessaria distinzione va però tracciata tra lavoratori altamente qualificati e poco qualificati, spiega l’europarlamentare francese del gruppo Renew Europe in un’intervista con Politico.eu.

VERSO UNA DIRETTIVA CON STANDARD COMUNI?

La competenza Ue in materia di politiche sociali è limitata, ma sul tema delle condizioni di lavoro, l’intervento dell’Unione europea si può spingere fino all’adozione di una direttiva che individui standard comuni da recepire nella legislazione interna di ogni Stato membro.

“Con la transizione digitale già in corso non possiamo perdere di vista i principi basilari del nostro modello sociale europeo. Dovremmo valorizzare al massimo il potenziale occupazionale delle piattaforme digitali ma anche garantire dignità, rispetto e tutele alle persone che le usano per lavorare”, indica la strada il commissario europeo al Lavoro Nicolas Schmit.

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