Qualcosa si muove in Cina. O meglio: qualcuno, è Tim Cook, alla sua terza visita nel Paese dall’inizio del 2024. Impossibile non notare che i voli del numero 1 di Apple in direzione Pechino si siano intensificati. E con il presidente eletto Donald Trump che minaccia tutti i giorni nuovi dazi ai prodotti cinesi si comprende che non siano di mera cortesia.
L’INCONTRO TRA TIM COOK E LI QIANG
Tim Cook ha avuto un incontro col premier cinese Li Qiang e non sarebbe stato solo. La stampa cinese, che ha dato enfasi all’evento, ha sottolineato la partecipazione dei rappresentanti della Big Tech locale Lenovo Group, dell’Industrial and Commercial Bank of China, del magnate thailandese Dhanin Chearavanont, del presidente di Sumitomo Electric Industries, Robin Zeng, di Contemporary Amperex Technology e di Li Dongsheng, presidente di TCL Technology Group Corp.
Chiara la volontà dei media di far percepire all’estero che la Cina non è affatto isolata e si muove anzi con disinvoltura nonostante le nuove mosse protezionistiche ventilate dal prossimo inquilino della Casa Bianca. E, con ogni probabilità, i dazi di Trump saranno stati proprio tra gli argomenti trattati nel faccia a faccia tra il premier cinese e il numero 1 di Apple.
LA CINA CHIEDE RASSICURAZIONI AD APPLE
Apple, che ha nella Cina il suo secondo mercato e che ha nelle aziende cinesi i suoi principali competitor, deve rassicurare il mondo politico, tanto più che dopo il Covid Cupertino ha iniziato a porre in essere una serie di manovre di allontanamento dal Dragone a favore di un suo vicino di casa: l’India.
Questo passaggio di consegne è stato particolarmente evidente nel corso del 2022 quando la Mela morsicata ha assemblato iPhone per un valore di oltre 7 miliardi di dollari in India, triplicando i valori della produzione. La società americana è arrivata a produrre più del 7% dei suoi iPhone in India (il valore dell’export è stato di oltre 5 miliardi di dollari), attraverso l’espansione di partner da Foxconn Technology Group a Pegatron Corp.: nel ’21 erano soltanto l’1%.
L’APPRENSIONE PER LE SORTI DELL’iPHONE CITY
Comprensibilmente, i cinesi temono che le mosse di Trump accelerino questo trasloco, desertificando Zhengzhou, la città nella provincia centrale di Henan soprannominata iPhone City proprio per la crucialità per l’economia della zona dello stabilimento che sforna telefonini Apple “made in China”. Una crucialità che il governo cinese ha comunque pagato a caro prezzo, a suon di sovvenzioni pubbliche volte a risollevare una zona tutt’altro che ricca del Paese.