Per alcuni sarebbero dovuti essere persino il bene rifugio del futuro, preziosi come le opere d’arte ma comodamente trasportabili su una penna Usb o custoditi su cloud, senza quindi la necessità di predisporre allarmi domestici e misure di sicurezza a prova di ladro. Parliamo, ovviamente, degli Nft, i Non-Fungible Token, strettamente interconnessi al Metaverso (non a caso Meta aveva grossi progetti in merito). I due termini (tre, se ci aggiungiamo blockchain) sono stati pronunciatissimi negli ultimi anni un po’ da tutti, specie da chi voleva darsi un tono, dimostrando di sapere dove stesse andando il mondo. Il mondo forse, ma non l’economia, che sembra avere subodorato anzitempo quanto fosse effimera la nuova moda.
GALLERIE NEL METAVERSO
E come sempre accade con le mode, chi arriva prima fa i soldi, chi s’attarda resta sotto le macerie. Lo sanno bene gli investitori che hanno creduto in Bored Ape, la linea di Nft griffati con l’immagine di una scimmia. Una scimmia furbetta e dispettosa, che ha preso in giro, dicono gli acquirenti, migliaia di utenti che avevano sperato di investire in capolavori che si sarebbero rivalutati.
A detta loro, la presunta presa in giro sarebbe stata orchestrata alla grande, arrivando a coinvolgere testimonial d’eccezione: da Madonna a Justin Bieber fino a Serena Williams. E ora la class action di investitori furibondi intende portare pure i Vip in tribunale (qui l’atto di citazione). Ma andiamo con ordine.
LA CAUSA CONTRO LE BORED APE
Nel settembre 2021, Sotheby’s, che per chi non lo sapesse è una delle più importanti e prestigiose case d’aste del Regno Unito, con centinaia di filiali nel mondo, la cui sede storica è in New Bond Street, a Londra, aveva venduto oltre 100 Nft scimmieschi a un singolo acquirente in un’asta online per oltre 24 milioni di dollari.
“Le dichiarazioni di Sotheby’s secondo cui l’acquirente non divulgato era un collezionista ‘tradizionale’ avevano creato in modo fuorviante l’impressione che il mercato degli Nft (Bored Ape Yacht Club) fosse pronto per un pubblico mainstream”, si legge nella denuncia presentata in un tribunale federale in California all’inizio di questo mese.
ARTE VIRTUALE, SOLDI REALI
In molti sono corsi a comprare il proprio primate digitale nella speranza di avere per le mani qualcosa che presto avrebbe bissato il valore di un Nft divenuto iconico, Everydays: The First 5000 Days di Mike Winkelmann, venduto per 69 milioni di dollari, ma le scimmie digitali di Bored Ape Yacht Club, che fino a maggio 2022 si piazzavano anche sopra i 400.000 dollari, sono presto passate di moda e oggi valgono poco più di 50mila, continuando a scendere. È il mercato dell’arte 4.0, bellezze, si dirà agli speculatori. Che però non si arrendono.
Per i querelanti (che precedentemente avevano già citato in giudizio la software house produttrice Yuga Labs) la casa d’aste avrebbe “pubblicizzato in modo ingannevole” le opere d’arte digitali e, d’accordo con l’artista Yuga Labs, responsabile di averle create, ne avrebbe gonfiato artificialmente i prezzi.
Nel calderone della class action anche Paris Hilton, Gwyneth Paltrow, Kevin Hart, Snoop Dogg, Serena Williams, Madonna, Jimmy Fallon, Steph Curry e Justin Bieber, accusati di promuovere la collezione di Bored Ape senza rivelare di avere interessi finanziari. Chi c’è cascato con tutte le scarpe richiede ora almeno 5 milioni di dollari a titolo di risarcimento.
IL CROLLO VERTICALE DEGLI NFT
In realtà la fenomenologia degli Nft pareva essersi già esaurita nel suo insieme subito dopo la pandemia, complice anche la galoppata dell’inflazione che ha ridotto l’acquisto di beni di non largo consumo ed è un ulteriore motivo per cui in parecchi guarderanno con attenzione a ciò che decideranno i giudici sul caso Bored Ape.
Perché se è vero che i venturi casi analoghi che potrebbero fioccare avranno luogo in altre parti del mondo, è altrettanto vero che i magistrati, ritrovandosi a sentenziare su materie sconosciute, potrebbero prendere spunto da questo precedente giuridicamente non vincolante ma comunque logicamente interessante.
Com’è interessante ciò che è contenuto in un recente approfondimento curato dagli analisti di Deloitte, che ha messo nero su bianco come nel 2022 si sia quasi del tutto fermata la corsa dei certificati digitali che attestano l’atto di proprietà di un prodotto virtuale, con un crollo verticale del 60%.
Per la società di consulenza, lo stop della Nft mania oltre a essere legato alle fluttuazioni delle criptrovalute (con le monete digitali condividono il sistema su blockchain) ha subito gli strascichi della bancarotta della grande piattaforma di scambi Ftx che oltre ad aver spinto alla fuga gli investitori ha conseguentemente influito sul ribasso dell’intero mercato.
Quelle di Deloitte sono comunque analisi più ottimistiche rispetto a quanto rilevato dalla società fintech Bitay secondo cui, da gennaio a settembre 2022, il volume degli scambi di Nft sarebbe persino crollato del 97%, passando da un valore complessivo di 17 miliardi di dollari a soli 466 milioni. Insomma, come dice un vecchio proverbio asiatico, mai credere a una scimmia, tanto più se virtuale.