Nella tarda serata, ora Italiana, di ferragosto è arrivato dagli Stati Uniti un “annuncio a sorpresa”; la Defense Security Cooperation Agency (DSCA) comunica infatti che il Dipartimento di Stato Americano ha autorizzato la possibile vendita all’Italia di un pacchetto comprendente tra gli altri 6 Unmanned Aerial System (UAS) del tipo MQ-9A Block 5 e sistemi associati. Il valore della commessa è stimato in 738 milioni di dollari.
La DSCA è un’agenzia del Pentagono (che però opera in stretto contatto con il già citato Dipartimento di Stato) incaricata di gestire le vendite di armamenti attraverso il meccanismo Foreign Military Sale (o FMS). La particolarità di questo meccanismo è rappresentata dal fatto che si crea un rapporto diretto (e ovviamente più sicuro) tra Stati; chi vende e chi compra.
Nel caso specifico, poi, il pacchetto prevede come detto la fornitura di 6 MQ-9A ma anche di 3 Ground Control Station o GCS (cioè il luogo da quale fisicamente i droni vengono pilotati e fatti operare da remoto), una serie di sensori e sistemi vari, parti di ricambio nonché supporto logistico e, infine, addestramento. Quindi, caratteristica saliente dello strumento FMS: un “pacchetto chiavi in mano”.
I droni e l’Aeronautica Militare
Un passaggio doveroso deve essere dedicato alla lungimiranza della nostra Aeronautica Militare; di fatto la prima in Europa ad aver intuito le potenzialità di questi nuovi sistemi, i droni. Già nel 2002 vengono infatti acquistati i primi 4 RQ-1 Predator; di fatto, i progenitori degli attuali MQ-9A. Da allora, questi mezzi vengono impegnati sempre più intensamente, soprattutto nelle missioni all’estero delle nostre Forze Armate; tanto che nel 2015 se ne decide l’acquisto di altri 2 esemplari.
Alla fine del 2022, tutti i Predator sono stati ritirati dal servizio in quanto superati sotto tutti i punti vista ma l’Aeronautica Militare non ha certo perso le preziose capacità in campo ISR (Intelligence, Surveillance and Reconnaissance) offerte da questo tipo di sistemi. Nel 2008 infatti ordina i primi 4 velivoli di nuova generazione MQ-9A (denominati Predator B in Italia, Reaper a livello internazionale), seguiti da altri 2 l’anno successivo.
Ancora una volta dunque, la nostra Aeronautica si pone in una posizione di avanguardia; tra le primissime dopo quella Americana ad adottare questo particolare velivolo; da subito impiegato nei vari teatri di operazioni delle Forze Armate Italiane.
Il quadro attuale del programma MQ-9A per l’Italia
In apertura si è parlato di “annuncio a sorpresa”; è arrivato il momento di spiegare meglio il perché. Attualmente infatti, questi velivoli a pilotaggio remoto già in dotazione all’Aeronautica sono interessati da ben 3 interventi distinti.
Il primo definito “reintegro capacitivo/ammodernamento” mira a portare i sistemi in servizio (appartenenti alle prime serie produttive) a uno standard aggiornato definito Block 5; quest’ultimo, oltre a garantire un miglioramento complessivo delle capacità della piattaforma, garantisce anche la possibilità di armare gli stessi Predator B.
Tema quest’ultimo presente nei decisori militari da molti anni ma che per tutta una serie di ragioni è stato a lungo rimandato. Almeno fino a 3 anni fa, quando è infine partito un altro intervento, definito “MQ-9 payload”; al netto della acrobazia lessicale utilizzata, questo intervento è esattamente finalizzato a raggiungere l’obiettivo appena delineato, consentire cioè ai droni in servizio di impiegare anche delle armi, affiancando così alle missioni ISR anche quelle di attacco al suolo.
Alla luce poi del ritiro dei RQ-1 Predator, della necessità di sostituire un MQ-9A abbattuto (nel novembre del 2019 in Libia) e, infine, di ampliare comunque il ventaglio delle capacità operative, lo stesso Ministero della Difesa aveva poi messo in campo già nel 2022 il terzo passaggio; l’acquisto cioè di 2 ulteriori MQ-9A (più una GCS). Ecco dunque arrivato nel merito il tema “sorpresa”; dato che questo annuncio non parla più dei 2 Predator B fin qui ipotizzati bensì di 6. Resta dunque da capire se questi ultimi debbano essere considerati un ulteriore aggiunta o una revisione al rialzo del requisito esistente.
Fermo restando il punto (anche di riflesso alle solite sterili polemiche fiorite nel nostro Paese); gli annunci della DSCA sulle procedure FMS rappresentano solo il primo passo di un più lungo percorso di acquisto. Un percorso che poi culminerà (eventualmente) in un vero e proprio contratto di acquisto e che comunque può anche cambiare nel suo sviluppo.
Cosa è il Predator B
Il Predator B/ Reaper è un UAS che rientra nella categoria MALE; un acronimo (Medium Altitude Long Endurance) che qualifica 2 delle sue caratteristiche salienti, con particolare enfasi sulla seconda e cioè la lunga autonomia. Al fine poi di una maggiore comprensione di quanto in esame, vale la pena di soffermarsi sulla “S” di quel UAS; Unmanned Aerial System serve infatti proprio a rimarcare che quello in questione non è un semplice velivolo a pilotaggio remoto quanto piuttosto, e per l’appunto, un sistema più complesso.
Oltre infatti al velivolo in quanto tale, fondamentali sono anche la già menzionata GCS (che, lo si ricorda, è presidiata da 2 operatori) e, infine, la Exploitation Data Station (EDS), dove vengono analizzate in tempo reale le immagini e le informazioni raccolte dai sensori installati sul drone; con il tutto poi trasmesso agli utenti operativi sul campo.
Ovviamente, di queste 3 componenti, quella più importante rimane il velivolo in quanto tale; caratterizzato dalla tipica formula dell’elica spingente, il Predator B presenta una lunghezza di 11 metri e un’apertura alare di (ben) 20 metri. Il suo peso a vuoto è di poco più di 2.220 kg, che diventano 4.760 a pieno carico. Carico che può arrivare a oltre 1.700 kg, 360 dei quali all’interno del drone stesso (in particolare, sensori) e 1.400 ai piloni esterni (armamenti e/o pod dotati di altri sistemi); più il carburante.
L’apparato propulsore è costituito da un un turbopropulsore Honeywell TPE331 da 900 hp che consente al Predator B di raggiungere una velocità massima di poco più di oltre 480 km/h, una di crociera di circa 300 km/h e un raggio di azione di 1.900 km. Dato quest’ultimo che si trasforma in un ancora più interessante valore sull’autonomia; in configurazione standard, questo velivolo può restare in volo per 27 ore. Ultimo dato di rilievo, la quota di volo; tra i 7.500 e i 15.000 metri.
E se queste sono le caratteristiche di massima dell’MQ-9A, è da evidenziare che questo velivolo sta comunque continuamente evolvendosi; dando vita per esempio a una versione migliorata e cioè il MQ-9B Sky Guardian (con dimensioni e varie altre caratteristiche incrementate/migliorate), a sua volta già declinato in una variante specializzata per il pattugliamento marittimo.
Una grande versatilità e importanti capacità, tale da farlo quindi scegliere da molti Paesi. Tanto che l’elenco di quelli che nelle sue varie versioni lo hanno già adottato o lo adotteranno risulta molto lungo: USA (US Air Force, US Marine Corps e US Customs and Border Protection), Regno Unito, Francia, Spagna, Olanda, Belgio, Giappone (Guardia Costiera), Canada, Polonia, India e Taiwan. Per ora…
La questione armamenti
Come rilevato in precedenza, questo drone nasce prima di tutto come piattaforma dedicata alle missioni ISR; per questo è dotato di un radar AN/APY-8 Lynx II e di un apparato elettro-ottico/infrarosso AN/DAS-1 MTS-B Multi-Spectral Targeting System. Attraverso di esso, il Reaper può raccogliere informazioni e dati, può individuare bersagli e collaborare al loro ingaggio; esternamente poi possono essere installati anche altri sistemi per la Electronic Warfare (EW), per la raccolta di segnali di vari natura (SIGINT) e per fungere da nodo per le comunicazioni.
Dunque, una piattaforma che di base dispone già di una elevata flessibilità operativa ma che ha visto aumentarla ulteriormente aggiungendo fin da subito la capacità (su 7 piloni subalari) di ospitare e lanciare una vasta gamma di armamento dai missili aria-terra (quali gli Hellfire o i Brimstone) fino a bombe guidate di vario tipo (dalle Paveway a guida laser fino alle JDAM a guida GPS); trasformandosi così in una temibile e versatile piattaforma di attacco; già sperimentata peraltro in varie operazioni di combattimento reale.
Che poi è esattamente ciò di cui ha bisogno l’Aeronautica Militare e con essa, in conclusione, le Forze Armate Italiane nel loro complesso.