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L’Italia può obbligare Apple, Google e Meta a pagare Tim e non solo?

Il ministro Urso pensa che sia "assolutamente necessario" far pagare alle Big Tech un contributo per l'uso della rete di telecomunicazioni. Ma un tentativo simile è già naufragato in Europa. Ecco come funzionerebbe la norma italiana.

Il ministro delle Imprese Adolfo Urso pensa che sia “assolutamente necessario” far pagare alle grandi società tecnologiche – le cosiddette Big Tech, tutte statunitensi, come Google, Meta e Apple – un contributo per l’utilizzo della rete di telecomunicazioni. In questo modo, secondo il governo, si andrebbero a compensare le aziende di telecomunicazioni per i costi di gestione e per gli investimenti effettuati sulla rete, che le Big Tech e i distributori di contenuti in streaming – come Netflix, sempre statunitense – utilizzano per diffondere i loro prodotti e servizi.

BIG TECH CONTRO OPERATORI TELCO: LA SITUAZIONE IN EUROPA

È una battaglia che si è già combattuta in Europa.

In una lettera aperta inviata alla Commissione europea circa un anno fa, gli amministratori delegati di venti compagnie di telecomunicazioni europee (tra cui l’italiana Tim, la tedesca Deutsche Telekom e la spagnola Telefonica) chiedevano che le società tecnologiche che “beneficiano maggiormente” della rete contribuissero di più ai costi, anche considerate le spese per l’aggiornamento dell’infrastruttura e per il passaggio al 5G. “Un contributo equo e proporzionato ai costi delle infrastrutture di rete da parte dei maggiori generatori di traffico”, scrivevano, “dovrebbe costituire la base di un nuovo approccio”.

Secondo i firmatari della lettera, il traffico di dati sulla rete è aumentato in media del 20-30 per cento ogni anno e va ricondotto principalmente a una “manciata” di grosse società tecnologiche. Le Big Tech, però, si oppongono alla richiesta degli operatori di telecomunicazioni, sostenendo che anche loro investono nelle infrastrutture, come i cavi sottomarini e i centri dati.

LA RISPOSTA DI GOOGLE ALLA PROPOSTA ITALIANA

“Facciamo importanti investimenti in infrastruttura, ci facciamo carico nel nostro traffico dati per il 99 per cento del tragitto, lo portiamo vicino alle persone e lo rendiamo più efficiente, a tutto beneficio delle società di telecomunicazione”, ha detto infatti a Repubblica Diego Ciulli, capo delle relazioni istituzionali di Google in Italia.

A detta di Ciulli, è proprio grazie ai servizi offerti dalle Big Tech (spesso gratuiti per l’utente) e dagli altri distributori di contenuti on-demand se “le persone pagano alle telco l’accesso a Internet”.

Come ricorda il quotidiano, la proposta della Commissione europea di obbligare le società digitali a contribuire ai costi delle reti di telecomunicazioni non si è concretizzata; di conseguenza, una norma solo italiana avrebbe l’effetto “di creare frammentazione regolatoria dentro l’Unione”.

COME FUNZIONEREBBE IL CONTRIBUTO DELLE BIG TECH ALLE TELCO ITALIANE

Negli emendamenti alla legge sulla Concorrenza presentati da Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega viene proposto – spiega Repubblica – di forzare l’apertura di una negoziazione privata tra le società tecnologiche e gli operatori delle reti di telecomunicazioni per definire l’entità del contributo economico che le prime dovranno corrispondere ai secondi; a supervisionare le trattative sarà l’Agcom, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

Non è chiaro, tuttavia, quali aziende dovranno partecipare alle spese per l’infrastruttura di rete: saranno solo le Big Tech come Google e Meta, cioè quelle società che, con i loro servizi, valgono più del 5 per cento  del traffico sulla rete; oppure anche tutte le altre “piattaforme” (rientra in questa definizione anche TikTok, ad esempio) già definite nel Digital Markets Act e nel Digital Services Act europei?

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