Skip to content

markus braun wirecard

Tutti i casini finanziari e giudiziari della tedesca Wirecard

Arrestato e rilasciato su cauzione l'ex ad di Wirecard, la società fintech tedesca che ha annunciato un buco da 1,9 miliardi nel bilancio. Fatti, numeri e polemiche politiche e istituzionali in Germania

 

Ancora venti di burrasca in casa Wirecard. Dopo la rivelazione da parte dell’azienda che i bilanci potrebbero essere stati gonfiati e che glI 1,9 miliardi di euro dichiarati non esistono, scattano le prime manette: le autorità tedesche hanno arrestato l’ex ad Markus Braun, che nelle scorse ore aveva dato le dimissioni (come raccontato qui).

BRAUN ARRESTATO

Le autorità tedesche hanno arrestato oggi l’ex amministratore delegato della fintech Wirecard, Markus Braun, con l’accusa di aver gonfiato il totale delle attività e dei ricavi delle vendite della società e aver manipolato il mercato, falsificando i proventi delle transazioni con i cosiddetti acquirenti terzi.

Il mandato di arresto era stato emesso ieri. Nei giorni scorsi, come scritto in questo articolo di Start Magazine, dopo dubbi ed indagini, la società ha ammesso che gli 1,9 miliardi di euro in bilancio sono scomparsi da conti fiduciari presso banche del Sud-Est asiatico, soprattutto nelle Filippine. Molto probabilmente non ci sono mai stati, secondo la ricostruzione del Financial Times.

RILASCIATO SU CAUZIONE

Braun è stato rilasciato su cauzione di 5 milioni dopo essersi consegnato, nella notte, ai procuratori a Monaco di Baviera. I giudici hanno deciso di non tenerlo in custodia cautelare.

LO CHIAMAVANO LO STEVE JOBS TEDESCO

L’ex ad di Wirecard era conosciuto come lo “Steve Jobs” tedesco e agli investitori aveva promesso, solo qualche mese a dietro, che la società fintech avrebbe aumentato le entrate di sei volte entro il 2025, grazie al boom dei pagamenti digitali.

BRAUN DIMESSO

Dopo la diffusione di questa notizia, Braun si è dimesso dall’incarico ed è stato sostituito, ad interim, da James Freis, un ex investigatore finanziario della Borsa di Francoforte, che si è messo subito a lavoro per capire come muoversi con le circa 15 banche (tra cui Commerzbank, Abn Amro e Ing) che hanno prestato 1,75 miliardi di euro a Wirecard.

Braun, nell’annunciare la scomparsa degli 1,9 miliardi, aveva sostenuto che Wirecard potrebbe essere stata vittima di frode.

NON SOLO BRAUN

Insieme a Braun, sotto inchiesta sono finiti anche Jan Marsalek, ex Chief Financial Officer della società nel sud-est asiatico e braccio destro di Braun, già sospeso e allontanato la scorsa settimana dalla società, e un altro ex amministratore fiduciario che avrebbe supervisionato i presunti conti inesistenti.

La bufera, però, potrebbe presto anche coinvolgere il consiglio di amministrazione dell’azienda tedesca.

MOODY’S RITIRA RATING

Wirecard deve fare i conti anche con Moody’s, che ha deciso di ritirare tutti i suoi rating sulla società, dopo che comunque sono scesi a livello ‘spazzatura’.

LA CONVERSIONE DI SCHOLZ

La questione scuote la Germania intera e i regolatori. La Consob tedesca, la Bafin, nonostante i dubbi di analisti ed investitori, si è sempre schierata dalla parte della fintech, minacciando, racconta il Sole, anche eventuali azioni legali contro gli “speculatori” e i giornalisti (c’è stata un’inchiesta del Financial Times) che mettevano in dubbio la regolarità i conti di Wirecard.

Clamorosa conversione a “U” del ministro delle Finanze Olaf Scholz il quale, dopo aver elogiato a caldo lunedì il lavoro «duro e buono» dei regolatori sulla vicenda, è tornato sui suoi passi – ha sottolineato oggi il Sole 24 Ore nella corrispondenza da Berlino – con una doppia intervista rilasciata a Reuters e a Faz per denunciare «le problematiche emerse sulla supervisione della società, specialmente per quanto riguarda il controllo della contabilità e del bilancio», dove «i revisori dei conti e le autorità di vigilanza non sono stati efficaci».

LE PAROLE DEL MINISTRO

Il ministro non ha risparmiato critiche aspre nei confronti di Bafin, l’organo di supervisione bancaria e finanziaria in Germania, sottolineando come Bafin abbia ammesso i propri errori nella supervisione di Wirecard e che questi errori ora «vanno identificati ed eliminati velocemente». Il ministro, consapevole dell’enorme danno reputazionale alla piazza finanziaria tedesca provocato da Wirecard, ha sollecitato un pronto intervento riparatore: «Dobbiamo chiarire in fretta come cambiare il nostro assetto normativo in modo tale da poter monitorare a fondo le più complesse strutture societarie, per agire tempestivamente e adeguatamente». Per il ministro questo è «un atto dovuto per gli azionisti, i dipendenti e gli investitori, e anche la Germania come centro finanziario». Il ministro dell’Economia Peter Altmaier si è espresso sulla stessa linea, commentando in un’intervista a T-Online.de che «non possiamo consentire a un’azienda di distruggere la reputazione di un’intera industria e di danneggiare il nostro Paese».

Il presidente di Bafin Felix Hufeld, nell’apprendere l’ammissione di Wirecard all’«altamente probabile inesistenza» di 1,9 miliardi, si era espresso lunedì in termini di «disastro completo» e di «vergogna». Tuttavia, sollecitata dal Sole24Ore, l’autorità di vigilanza Bafin aveva sottolineato lunedì stesso il suo ruolo di supervisore su Wirecard Bank, che ha una licenza bancaria, ma non sulla casamadre che non ha richiesto alcuna licenza sulle aree coperte dalla supervisione. “L’organo di controllo Bafin è invece tenuto comunque a vigilare oltre all’ambito bancario anche sui sistemi di pagamento. Wirecard è un gigante della fornitura di servizi di pagamento elettronici, soprattutto tra controparti commerciali: e non può sfuggire alla vigilanza non bancaria. E se dovesse emergere, dalle indagini della magistratura, che le maglie della rete dei supervisori tedeschi sono state troppo larghe per anni, altre teste potrebbero saltare”, sottolinea il quotidiano di Confindustria.

“Un altro punto oscuro della vicenda – ha aggiunto il Sole 24 Ore – anche il modo in cui Bafin non abbia dato seguito a una serie inchieste, documentate, del Financial Times che per 18 mesi ha battuto sul tasto di possibili illeciti nelle attività in Asia di Wirecard, soprattutto nelle transazioni sui sistemi di pagamento elettronici che si appoggiano a società terze. Invece di indagare per verificare le denunce dell’FT, Bafin ha liquidato le denunce della testata come turbativa di mercato per avvantaggiare gli speculatori”.

Torna su