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Groenlandia, Serbia e non solo: ecco i Paesi su cui l’Ue punta per i minerali critici

La Commissione europea ha presentato tredici progetti sui minerali critici (tutti al di fuori dell'Unione ma in paesi o territori partner) che serviranno a ridurre la dipendenza dalla Cina. Tutti i dettagli.

Mercoledì la Commissione europea ha presentato tredici nuovi progetti sui minerali critici situati al di fuori dei confini dell’Unione: serviranno – nelle intenzioni – a tutelare la competitività e la sicurezza del blocco, trattandosi di materiali essenziali per l’energia, l’aerospazio, la tecnologia e la difesa.

LE RESTRIZIONI COMMERCIALI DELLA CINA

L’annuncio giunge a un paio di mesi di distanza dalla decisione della Cina – il paese che domina le filiere della maggior parte dei minerali critici e che l’Unione considera un “rivale sistemico” – di introdurre dei controlli alle esportazioni su alcuni prodotti in terre rare. I derivati delle terre rare, tra i tanti usi, sono fondamentali per le case automobilistiche e Bruxelles teme che un rallentamento delle forniture possa causare intoppi alla produzione di veicoli.

“Dobbiamo ridurre la nostra dipendenza da tutti i paesi, in particolare da alcuni come la Cina. I divieti di esportazione aumentano la nostra volontà di diversificare”, ha dichiarato a proposito il commissario europeo per l’Industria Stéphane Séjourné.

60 PROGETTI STRATEGICI SUI MINERALI CRITICI

I tredici progetti presentati mercoledì rientrano nel Critical Raw Materials Act, la legge del 2024 che fissa per il 2030 un obiettivo minimo interno di estrazione (10 per cento), lavorazione (40 per cento) e riciclo (25 per cento) dei minerali critici rispetto al fabbisogno annuo dell’Unione europea.

Con la nuova lista, i progetti strategici europei sulle materie prime salgono a sessanta: a marzo, infatti, la Commissione aveva annunciato quarantasette iniziative all’interno dell’Unione, di cui quattro in Italia.

TUTTO SUI 13 PROGETTI ESTERNI ALL’UNIONE EUROPEA

Secondo le stime della Commissione, i tredici progetti esterni all’Unione richiederanno un investimento complessivo di 5,5 miliardi di euro; la somma indicata per i quarantasette interni, invece, era di 22,5 miliardi.

Dei tredici progetti, sette si trovano in paesi con i quali l’Unione possiede una partnership sulle materie prime: Canada, Norvegia, Ucraina, Serbia, Groenlandia (non fa parte formalmente dell’Unione, ma è un territorio della Danimarca), Kazakistan e Zambia. I sei rimanenti sono nel Regno Unito, Brasile, Sudafrica, Nuova Caledonia (collettività d’oltremare della Francia), Madagascar e Malawi.

Dieci progetti sono dedicati ai materiali per la mobilità elettrica e per le batterie, come il litio, il nichel, il cobalto, il manganese e la grafite. Due progetti riguardano le terre rare, che si utilizzano nella costruzione di magneti per le turbine eoliche e per i motori delle auto elettriche.

Nel dettaglio:

  • Canada: nichel e cobalto
  • Brasile: nichel e cobalto
  • Groenlandia: grafite
  • Regno Unito: tungsteno (fondamentale per le aziende della difesa)
  • Norvegia: grafite e rame (un ottimo conduttore elettrico)
  • Ucraina: grafite
  • Serbia: litio e boro (si utilizza nell’industria metallurgica e chimica)
  • Kazakistan: grafite
  • Zambia: cobalto
  • Malawi: terre rare
  • Madagascar: grafite
  • Sudafrica: terre rare e manganese
  • Nuova Caledonia: nichel

LE TENSIONI IN GROENLANDIA E IN SERBIA

Il progetto groenlandese è portato avanti dalla società britannica GreenRock Strategic Materials. Il rapporto tra l’Unione europea e la Groenlandia è complicato dalle manovre degli Stati Uniti per portare l’isola più saldamente all’interno della sfera di influenza americana attraverso un trattato di libera associazione (senza contare che il presidente Donald Trump ha espresso numerose volte la volontà di annetterla).

Ci sono tensioni anche in Serbia. Il mega-progetto Jadar sul litio, gestito dalla compagnia anglo-australiana Rio Tinto, potrebbe soddisfare il 90 per cento del fabbisogno europeo ma è contestato da buona parte della popolazione serba, tanto che nel 2022 il governo revocò l’autorizzazione nel 2022 (è stata ripristinata l’anno scorso da un tribunale).

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