George Hershman, amministratore delegato di SOLV Energy, il principale costruttore di parchi solari negli Stati Uniti, ha accusato l’amministrazione di Joe Biden di aver elaborato una politica climatica “disfunzionale” più dannosa di quella di Donald Trump. È un’accusa forte perché, a differenza dell’attuale, l’ex-presidente aveva mostrato scarsa attenzione per la riduzione delle emissioni (si ritirò dagli accordi di Parigi, tra le altre cose) e per la transizione alle fonti di energia rinnovabile.
L’INDAGINE DEL DIPARTIMENTO DEL COMMERCIO
Quello di Hershman è in realtà uno sfogo nei confronti dell’indagine aperta dal dipartimento del Commercio per accertarsi che le aziende solari non stiano aggirando i dazi sulle importazioni di pannelli dalla Cina. Dazi che però, a detta del dirigente, potrebbero frenare l’installazione di nuovi impianti e danneggiare l’agenda climatico-energetica di Biden.
“ALMENO SAPEVAMO DA CHE PARTE STAVA”
“Almeno sapevamo da che parte stava quell’amministrazione [quella di Trump, ndr]”, ha detto Hershman, come riportato dal Financial Times. “Questa amministrazione ogni giorno dice quanto è a favore delle rinnovabili ma poi, concretamente, prende decisioni in opposizione”.
LA CINA AGGIRA I DAZI?
Per eludere i dazi americani, le aziende cinesi di pannelli solari inviano i loro dispositivi in Cambogia, Malaysia, Thailandia o Vietnam per completare lì il ciclo manifatturiero; dopodiché sfruttano quei paesi come “base” per esportare liberamente negli Stati Uniti.
Cambogia, Malaysia, Thailandia e Vietnam costituiscono l’origine di circa i tre quarti delle importazioni americane di prodotti solari.
CHI PROTESTA CONTRO IL DUMPING
A richiedere l’apertura dell’indagine è stata Auxin Solar, un’azienda californiana che produce pannelli e che accusa la Cina di danneggiare la manifattura americana con le sue pratiche di dumping. Con dumping, in breve, si intende la vendita all’estero di prodotti a prezzi inferiori a quelli fissati per il mercato interno: è una politica generalmente attuata con il sostegno dello stato.
PANNELLI (MOLTO) PIÙ COSTOSI
Se il dipartimento del Commercio dovesse accertare l’esistenza di una condotta di elusione dei dazi, le tariffe sulle importazioni di pannelli cinesi verrebbero estese anche a Cambogia, Malaysia, Thailandia e Vietnam. Si stima che i costi dei pannelli aumenterebbero tra il 50 e il 250 per cento.
La decisione non arriverà probabilmente prima dell’inizio del 2023, ma i dazi si applicherebbero in maniera retroattiva da aprile 2022. Il timore di essere colpiti dalle tariffe – dicono le aziende che installano parchi solari – ha paralizzato il mercato.
AGENDA CLIMATICA CONTRO POLITICA INDUSTRIALE
La vicenda racconta la frattura tra le aziende americane che producono i pannelli come Auxin Solar (favorevoli ai dazi) e quelle energetiche che si occupano dello sviluppo di progetti solari come SOLV Energy (contrarie, per una ragione di costi).
Il contrasto è anche tra l’agenda climatica e la politica industriale dell’amministrazione Biden: da una parte, il presidente vuole rafforzare la capacità manifatturiera nazionale, che dunque potrebbe trarre beneficio dai dazi; nel contempo, però, vuole stimolare la rapida “infrastrutturazione rinnovabile” della nazione, che verrebbe rallentata dalle tariffe.
Secondo Hershman di SOLV Energy, è un approccio “un po’ disfunzionale, un po’ schizofrenico”.
PROBLEMI ANCHE ALLA FILIERA DELL’EOLICO
Il pensiero di Hershman è condiviso anche dalle imprese che realizzano parchi eolici: temono che la politica “Buy American” di Biden, che obbliga il settore ad acquistare componentistica da fornitori americani, sia d’intralcio ai progetti perché non esisterebbe ancora una filiera nazionale dell’eolico sufficientemente sviluppata.
COSA PENSANO LE AZIENDE
“In questo momento abbiamo bisogno di usare la catena di approvvigionamento globale”, dice Hershman, “e poi iniziare la transizione verso una catena di approvvigionamento statunitense”.
Mamun Rashid, amministratore delegato di Auxin, non è d’accordo, però: “le stesse aziende che dicono che non c’è sufficiente offerta nazionale non stanno nemmeno tentando di acquistare da fonti nazionali”, accusa. “Abbiamo capacità disponibile, e con sufficienti ordini d’acquisto possiamo scalare rapidamente. Ma abbiamo bisogno di un prezzo giusto che ci consenta di coprire i nostri costi e di pagare i nostri dipendenti uno stipendio equo”.