Da un lato gli annunci, sempre molto ambiziosi, dall’altro la realtà, che spesso contraddice le passerelle internazionali. E così mentre a Ostenda, in Belgio, i leader di nove paesi europei che si affacciano sul Mare del Nord firmano un accordo per sfruttare il potenziale dei parchi eolici offshore della regione marina realizzando quella che il premier belga Alexander De Crooha prospettato come “la più grande centrale elettrica d’Europa”, la stampa tedesca fa le pulci a quello che realmente si muove sul terreno concreto.
Il nuovo progetto lanciato a Ostenda punta a generare con una produzione che aumenterà gradualmente oltre 300 gigawatt (GW) di elettricità all’anno entro il 2050. Il costo previsto di oltre 800 miliardi di euro è finanziato dall’Unione Europea.
La Germania è uno dei nove paesi coinvolti. Sette di essi sono membri dell’Unione Europea (oltre alla Germania, Francia, Olanda, Lussemburgo, Danimarca, Irlanda e appunto il Belgio, il paese ospitante della conferenza), gli altri due no: la Gran Bretagna, fresca di Brexit, e la Norvegia, uno dei big player globali in tema di energia e oggi il più importante per l’Europa dopo l’eclissi dell’orizzonte russo. Il cancelliere Olaf Scholz, presente a Ostenda a nome del suo paese, è stato come sempre prodigo di promesse.
“Dobbiamo diventare più veloci”, ha detto riferendosi alle tante road map annunciate nei mesi scorsi per i progetti dei parchi eolici marini, anche in questo Mare del Nord, “non possiamo perdere altro tempo nell’identificazione delle aree, nelle autorizzazioni, nella costruzione di impianti e reti”. Scholz ha poi ricordato che molte leggi nell’Ue e in Germania sono state modificate per favorire l’espansione delle energie rinnovabili e ha sottolineato l’importanza della presenza degli industriali alla conferenza-vertice di Ostenda, “perché le decisioni ora devono essere prese anche nelle sedi centrali delle aziende”. L’espansione della rete deve procedere con la stessa rapidità dell’espansione della produzione, ha poi aggiunto il cancelliere, e “questo perché i centri industriali spesso non sono situati sulla costa”.
Indicazioni di buon senso, se non fosse che a pronunciarle non era un analista del settore energetico, ma l’uomo (quasi) solo al comando della gigantesca macchina amministrativa della più potente economia della regione.
Finora, sul fronte dell’eolico, alle grandi promesse, qualche volta roboanti, sono seguiti fatti modesti. “L’espansione dell’energia eolica offshore in Germania è stata lenta negli ultimi tempi”, commenta infatti il quotidiano online del Tagesschau, il tg del primo canale pubblico tedesco Ard, e se l’anno scorso il valore dell’energia eolica offshore nei nove Stati presenti a Ostenda era di circa 30 gigawatt, la Germania conta finora circa otto gigawatt di capacità offshore.
La Repubblica Federale si colloca al secondo posto in Europa, dopo la Gran Bretagna che conta su 14 gigawatt, mentre Francia, Norvegia e Irlanda producono ciascuna meno di un gigawatt. Sembrerebbe un risultato soddisfacente, se non fosse che la Germania, unica fra tutti gli Stati coinvolti, aveva annunciato ben dodici anni fa in pompa magna il suo piano epocale di svolta energetica, la Energiewende prospettata da Angela Merkel come contropartita alla fuoriuscita dall’energia nucleare. Era il 2011, all’indomani dell’incidente di Fukushima. Oggi il nucleare è una storia chiusa e quella delle turbine eoliche una avventura appena cominciata.
Va detto che il governo attuale non può farsi carico dei ritardi accumulati da una svolta energetica amministrata per lungo tempo dai governi Merkel, la cui inconsistenza sul piano concreto dell’ammodernamento delle infrastrutture (che siano di trasporto commerciale o energetico cambia poco) appare solo oggi una scoperta di tutti. Ed è anche vero che sotto la spinta del ministro verde Robert Habeck, sono state modificate normative (anche con disappunto di tanti ambientalisti) per velocizzare le procedure per i nuovi impianti eolici, sia a terra che a mare.
Ma quando si tratta di fare i conti, i risultati non sono ancora in linea con le ambizioni. “La progettazione di un parco eolico richiede già tre o quattro anni sulla terraferma, per gli impianti offshore sono necessari tempi molto più lunghi”, ha spiegato Paul Kühn, esperto di energia del Fraunhofer Institut. L’ultima legge varata dal governo, con riferimento all’eolico sulla terraferma, impegna direttamente la responsabilità dei Länder e impone di destinare il 2 per cento del territorio alle turbine eoliche. Attualmente, solo lo 0,8% circa del territorio federale è destinato all’energia eolica onshore e in realtà ne viene utilizzato lo 0,5%.
Sono numeri che rendono analisti e imprenditori del settore eolico scettici sui nuovi progetti annunciati a Ostenda. Che peraltro ricalcano simili propositi elaborati da un quartetto di paesi lo scorso anno a Ebsbjerg, in Danimarca. Quattro paesi presenti anche a Ostenda: Germania, Danimarca, Olanda e Belgio. Anche lì, nella città sede del colosso danese dell’eolico Vestas, si varò un piano per arrivare in otto anni a quadruplicare la capacità dell’eolico offshore attuale puntando complessivamente a produrre 65 gigawatt. Una prima tappa per poi lanciarsi verso la moltiplicazione per dieci entro la metà del secolo: 150 gigavatt nel 2050.
Anche a Ostenda i progetti sono ambiziosi. “Si tratta di un’impresa colossale e di un vero e proprio esempio di transizione energetica in azione”, hanno indicato i leader dei nove paesi in un documento congiunto pubblicato dalla rivista Politico. Questo richiederebbe investimenti massicci sia a terra che in mare. “Non possiamo aspettare anni per i processi di approvazione mentre le temperature globali aumentano e i governi autocratici hanno il potere di spegnere le luci nei nostri salotti e di bloccare la nostra produzione industriale”, è scritto ancora nel documento.
Sarà la volta buona? I progetti dei politici, per essere credibili, devono camminare sulle gambe dell’industria. Wolfram Axthelm, direttore generale dell’Associazione tedesca per l’energia eolica, dice che nei prossimi anni, l’industria del settore sarà alla ricerca di lavoratori su larga scala per l’espansione delle energie rinnovabili. E che questo potrebbe rappresentare un problema. “Il previsto raddoppio della capacità eolica installata entro il 2030 non sarà possibile senza un aumento del personale”, spiega in un’intervista all’agenzia di stampa dpa, “questo non significa che avremo bisogno del 100 per cento di personale in più, ma che ci sarà necessariamente un aumento molto significativo, nell’ordine di diverse decine di migliaia di persone”.
Di recente, uno studio del Centro di competenza per la sicurezza dei lavoratori qualificati (Kofa) dell’Istituto dell’economia tedesca ha reso noto che solo per l’espansione dell’energia solare ed eolica mancano 216.000 lavoratori qualificati in circa 190 professioni. Axthelm, con riferimento specifico all’eolico, chiarisce che il quadro è piuttosto complesso per una serie di fattori concomitanti. In primo luogo, tutte le aziende stanno affrontando carenza di forza lavoro qualificata e competente in quasi tutti i settori dell’industria tedesca. Con una conseguente, sfrenata concorrenza interna tra le imprese in generale e nel settore energetico in particolare: “Quasi tutti gli operatori del settore stanno assumendo nuovo personale in questo momento e ci si rende conto soprattutto che si è in concorrenza con altri, che bisogna fare uno sforzo maggiore per trovare le persone adatte”.
E per l’industria eolica, interviene un ulteriore fattore aggravante: le aziende “sono ancora alle prese con le conseguenze delle enormi riduzioni di personale degli ultimi anni, conseguenza della vacillante espansione dell’energia eolica”. Ora questo ritardo deve essere colmato nel contesto di due debolezze: quella della scarsità della manodopera generale e del necessario aumento di personale che le nuove strategie di crescita dell’eolico impongono.
Ecco che il passato degli annunci privi di politiche concrete conseguenti torna ad incombere sul presente e sui progetti sbandierati nei vertici. Ma la direzione appare questa volta obbligata, la rottura dei vecchi equilibri e legami non permette scorciatoie: non c’è più il gas russo a rimediare le miserie di una svolta energetica per un decennio bloccata sul filo della propaganda.
“La vera ragione della febbre del Mare del Nord è che sta diventando gradualmente chiaro di quali quantità di energia l’Europa avrà bisogno un giorno, nel rispetto del clima, per poter mantenere la sua prosperità e la sua industria”, ha commentato il progetto lanciato a Ostenda la Frankfurter Allgemeine Zeitung. Per cui, anche in questo caso, si rischia di fare i conti senza l’oste. Perché, osserva ancora il quotidiano tedesco, “la centrale elettrica verde del Mare del Nord non è affatto sufficiente, pertanto sono prevedibili correzioni al rialzo degli 800 miliardi di euro che l’industria dell’energia eolica e la Commissione Ue hanno calcolato solo per gli investimenti nel Mare del Nord e nell’entroterra”.
E conclude: “Sono cifre che i sostenitori delle energie rinnovabili in questo paese non indicano con lo stesso fervore dei costi e dei sussidi per altre fonti energetiche. La pallina di gelato che doveva costare il loro divertimento è presto grande quanto la terra”.