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Uranio, cosa cambierà per il nucleare francese dopo il golpe in Niger

La Francia si rifornisce dal Niger per l'uranio delle sue centrali nucleari, che utilizza per generare l'elettricità da esportare anche in Italia. Ecco tutte le conseguenze di breve e lungo periodo del colpo di stato.

Quali conseguenze avrà, nel breve e nel lungo termine, il golpe avvenuto in Niger sulla sicurezza energetica di una Francia che importa da quel Paese massicci quantitativi di uranio necessari per alimentare le sue 56 centrali nucleari? La risposta arriva da un recente focus pubblicato da Deutsche Welle, che mette in evidenza il ruolo dell’azienda francese Orano, detentrice dei diritti di estrazione della più grande miniera di uranio della regione.

L’uranio del Niger

Il più grande tesoro del Niger giace nel sottosuolo: è l’uranio, la più importante commodity del Paese del Sahel.

Dai giorni del golpe che ha estromesso dal potere il presidente democraticamente eletto Bazoum, la Francia è in fibrillazione. Due terzi della sua elettricità è prodotta da centrali nucleari alimentate anche con l’uranio del Niger.

Ma ad essere in gioco non sono solo i consumi interni: Parigi esporta energia elettrica ad altri Paesi, come l’Italia, sprovvisti di centrali nucleari.

Gli orientamenti della nuova giunta nigerina non sono favorevoli ai francesi. Al contrario, non appena arrivata al potere, essa avrebbe ordinato lo stop alle esportazioni dell’uranio.

Il motivo traspare dalle dichiarazioni rilasciate a Deutsche Welle da Mahaman Laouan Gaya, già Ministro dell’Energia del Niger e Segretario generale dell’Organizzazione dei Produttori di Petrolio fino al 2020: “tutti in Niger pensano che questa partnership sia molto ineguale”.

Gaya punta il dito sul forte gap tra il valore delle esportazioni di uranio in Francia, pari a 3,8 miliardi di dollari, e i ricavi dello stato nigerino, che non raggiungono nemmeno i 500 milioni.

“Se il Niger decidesse di non esportare più uranio in Francia ci sarebbero drammatiche conseguenze per la Francia, ma non per l’economia nigerina”, sottolinea l’ex ministro.

Il ruolo di Orano

Per decenni il gruppo francese Orano (già Areva) ha estratto uranio dalle miniere nigerine. Il materiale è usato principalmente per produrre combustibile per le 56 centrali nucleari francesi.

Non è chiaro al momento se la moratoria sull’export all’uranio dichiarata dalla giunta sia effettivamente rispettata. Un portavoce di Orano ha recentemente dichiarato all’agenzia di stampa Afp che “l’attuale crisi non ha impatti di breve termine sulle capacità produttive” dell’azienda.

Frattanto l’ex primo ministro e oggi leader dell’opposizione Hama Amadou ha riferito alla stessa Afp che Orano sta continuando a produrre uranio. “Non penso che le nuove autorità abbiano cancellato i contratti minerari per l’uranio tra la Francia e il Niger”, ha affermato Amadou. “Perciò – ha aggiunto – di cosa ha esattamente paura la Francia quando si parla dei suoi interessi in Niger?”.

Le miniere nelle mani dei francesi

Controllata per il 63% da Orano e per il restante 37% dalla compagnia statale nigerina Sopamin, Somair è l’azienda che sfrutta quella che è la più grande miniera di uranio nella regione, ubicata nei pressi della regione di Arlit.

Nel 2021 Somair ha esportato più del 90% dell’uranio nigerino. È lo stesso anno in cui la Francia e il governo di Bazoum si sono accordati per aprire una nuova miniera e in cui Orano, inoltre, ha firmato nuovi accordi con l’esecutivo di Bazoum per prolungare le sue attività minerarie fino al 2040.

Secondo il giornalista nigerino Seidick Abba, il golpe non ha interferito con questi accordi commerciali. “Il contratto non dà diritto al Niger di fermare le consegne”, ha dichiarato Abba a DW. “La giunta non ha modo di bloccarle”.

Chi fornisce uranio all’Europa?

Come mostrano i dati di Euratom, un quinto dell’uranio che l’anno scorso ha importato la Francia proveniva dal Niger; altri quantitativi significativi sono arrivati da Kazakistan e Uzbekistan.

Sebbene il Niger fosse il terzo fornitore d’uranio della Francia, c’è chi invita a non drammatizzare questa dipendenza. “La Francia fa affari con Paesi come Kazakistan, Australia e Namibia. E può facilmente diversificare le sue forniture di uranio”, rimarca Alex Vines, ricercatore presso la Chatham House.

Anche a livello globale, l’impatto del golpe non è da enfatizzare visto che solo il 5% dell’uranio venduto nel mercato globale proveniva dal Niger.

Il Kazakistan si è fatto già avanti rendendosi disponibile a compensare eventuali strozzature nell’offerta. Anche la Commissione europea è fiduciosa che non ci saranno conseguenze drastiche, visto che l’Europa dispone di stock di uranio tali da affrontare qualsiasi contingenza e che – parola del portavoce della Commissione Adalbert Jahnz – “nel mercato mondiale ci sono sufficienti depositi nel medio e lungo termine per venire incontro alle necessità dell’Ue”.

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