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Petrolio, perché l’affare Chevron-Hess lascia indietro l’Europa

L'acquisizione di Hess da parte di Chevron è la prova della distanza tra l'industria petrolifera statunitense e quella europea. L'approfondimento di Sergio Giraldo

Dopo l’acquisizione di Pioneer da parte di Exxon per la cifra di 60 miliardi di dollari, un’altra gigantesca fusione interessa il settore petrolifero americano. Al termine di una trattativa segreta durata quasi due anni, con una operazione di concambio azionario, a fine ottobre Chevron ha annunciato di aver acquisito la totalità delle azioni di Hess Corporation, per un valore di 53 miliardi di dollari, con un costo totale di 60 miliardi di dollari se si considera il debito.

CHEVRON PUNTA  SUL PETROLIO DELLA GUYANA

Con le già avvenute incorporazioni di altri due big americane del settore, PDC Energy e Noble Energy, Chevron aggiunge al proprio portafoglio un’altra società americana attiva nello shale oil (petrolio di scisto, cioè ottenuto dai frammenti di rocce di scisto bituminoso). Le tre società assieme portano la produzione totale di Chevron a 3,7 milioni di barili al giorno, pari al 4% circa della domanda mondiale. Di questi, 1,3 milioni di barili al giorno sono produzione da scisto, pari a circa il 40% del totale. Comprando Hess, Chevron accede al 30% di partecipazione al blocco di sfruttamento Stabroek in Guyana, una scoperta recente di Exxon che entro il 2027 dovrebbe produrre 1,2 milioni di barili al giorno. Si può dire che la partecipazione di Hess Corporation alla scoperta in Guyana è forse il motivo principale della acquisizione di Chevron. Le riserve certe del paese sudamericano ammontano infatti ad oltre 11 miliardi di barili, un serbatoio immenso che promette abbondanti volumi e abbondanti utili.

L’operazione, soggetta al vaglio dell’antitrust americano per evitare concentrazioni di mercato, sarà definitivamente conclusa entro giugno 2024 e porterà Chevron a disfarsi di varie attività per un valore attorno ai 20 miliardi, che saranno utilizzati per investire ulteriormente. Exxon resta il maggior produttore americano da shale, in ogni caso. Almeno per ora.

L’INDUSTRIA DEL PETROLIO NEGLI STATI UNITI E IN EUROPA

Le fusioni in corso negli Stati Uniti segnalano una tendenza che lascia indietro i concorrenti europei. Infatti, come si evince dal rapporto tra prezzo e flussi di cassa operativi, le azioni delle società americane di settore sono trattate a valori superiori.

Mentre in Europa ci si concentra sulle energie rinnovabili, negli USA, nonostante l’Inflation Reduction Act lanciato lo scorso anno dal presidente americano Joe Biden, le società del petrolio macinano utili e procedono a fusione e acquisizioni. Gli utili mostruosi macinati dalle big company dell’oil & gas americano negli ultimi due anni gli permettono anche di acquisire concorrenti senza usare la cassa, ma solo con il concambio di azioni. Ciò lascia libere le compagnie di utilizzare liquidità per ulteriori investimenti ed inoltre permette alle società acquisite di partecipare alla crescita di valore della società acquirente. Inoltre, acquisire società che hanno già in portafoglio scoperte importanti di nuovi giacimenti è meno rischioso rispetto ad investire per esplorare e cercare riserve non certe. Exxon al momento ha una liquidità in cassa pari a 29,5 miliardi di dollari, mentre Chevron ne ha per 9,3 miliardi di dollari.

Non c’è partita con le compagnie europee, alle prese con regolamentazioni sempre più stringenti e molto più piccole dei concorrenti americani. Soprattutto, appare chiaro che ci sono visioni diverse sul futuro. C’è chi, in Europa, crede che gli accordi di Parigi del 2015 sull’uscita dagli idrocarburi siano praticabili e i relativi obiettivi raggiungibili. E chi invece, pragmaticamente, sta decisamente scommettendo contro la decarbonizzazione, a suon di miliardi.

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