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Cosa cambierà per l’industria europea dopo il dazio sul carbonio?

Dalla Cina arrivano indizi di un adeguamento al Cbam, il meccanismo dell'Unione europea che impone dazi sul carbonio. Ma è presto per cantare vittoria, e l'industria comunitaria teme di perdere competitività rispetto all'estero.

Lo scorso 19 ottobre Bloomberg ha dato notizia di una comunicazione che il ministero dell’Ambiente della Cina ha inoltrato ai grandi – e inquinanti – gruppi industriali: Pechino chiedeva alle fabbriche di essere più rigorose nei rendiconti sulle emissioni, in modo da rispettare i nuovi dazi sul carbonio dell’Unione europea, un importante mercato di sbocco.

COS’È IL CBAM

Dal 1 ottobre 2023 è infatti entrato in vigore, in via provvisoria, il CBAM. La sigla sta per Carbon Border Adjustment Mechanism, o Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere, ovvero un dazio applicato sulle importazioni di merci ad alta intensità carbonica (acciaio, alluminio, cemento, fertilizzanti, idrogeno, elettricità). Il CBAM ha l’obiettivo di garantire la parità di condizioni tra le aziende europee e quelle che hanno sede in paesi che non si sono dotati di politiche climatiche altrettanto rigorose; e contemporaneamente vuole prevenire il fenomeno del carbon leakage, ossia la delocalizzazione in territori dove le regole sulle emissioni sono più lasche.

LA FASE 1

La fase uno del CBAM, quella attuale, consiste sostanzialmente in una raccolta di dati: i soggetti importatori dovranno tenere traccia della quantità di CO2 connessa alla produzione dei beni che acquistano dall’estero. Successivamente questi importatori dovranno comprare uno specifico “permesso di inquinamento” che vada a compensare la differenza tra le emissioni di CO2 della merce importata e il prezzo del carbonio sul mercato comunitario (il cosiddetto Emissions Trading System, o ETS).

COSA FARÀ LA CINA

Anche la Cina – il terzo maggiore partner commerciale dell’Unione europea, dopo Stati Uniti e Regno Unito – vuole dotarsi di un proprio mercato del carbonio, dal 2030, in modo da preservare l’interscambio di beni con il Vecchio continente: il CBAM esenta, almeno in parte, gli importatori dall’acquisto del permesso se la merce è già stata sottoposta a una tassa sul carbonio nel paese d’origine.

È TROPPO PRESTO PER CANTARE VITTORIA

La Cina è il maggiore emettitore di gas serra al mondo e ha criticato il CBAM, definendolo una barriera commerciale. Stando alla notizia riportata da Bloomberg, sembrerebbe che il meccanismo europeo stia già dando qualche risultato nell’incentivare il “commercio pulito” nel mondo. Ma è decisamente troppo presto per dare giudizi, anche perché gli Stati Uniti – il principale alleato d’Europa – non hanno un carbon market e quindi le loro esportazioni si farebbero più costose. Il prezzo del carbonio in Cina, inoltre, è molto più basso di quello europeo, quindi non si può parlare di un allineamento Bruxelles-Pechino.

PERCHÉ IL CBAM SPAVENTA L’INDUSTRIA EUROPEA

Anziché rassicurarle rispetto alla concorrenza estera, come da intenzioni, il CBAM sta spaventando diverse aziende manifatturiere europee, che temono che a causa del meccanismo finiranno per pagare di più le materie prime d’importazione, perdendone in competitività.

Paolo Sangoi, presidente di Assofermet – l’associazione delle aziende italiane importatrici di acciaio ed alluminio – è intervenuto recentemente su Rivista Energia per esprimere le perplessità della categoria sul CBAM. “Rileviamo”, ha scritto, riferendosi agli obblighi di comunicazione sulla carbon footprint dei prodotti importati, “che l’attività di raccolta dati per poter soddisfare questo adempimento in carico agli importatori risulta essere molto complessa” perché “i produttori extra-UE non sono ancora in grado di fornire la documentazione con il livello di dettaglio previsto dalla norma”.

A detta dell’associazione, “le modalità di attuazione” del CBAM sono troppo stringenti nei tempi e troppo complesse sotto il profilo burocratico; senza un loro snellimento, “provocheranno inevitabilmente un pesante aumento dei costi difficilmente scaricabili sul prodotto in quanto già gravato dai molteplici aumenti legati ai costi energetici, costi generali e doganali”.

L’IMPATTO SULL’ACCIAIO

Un comparto particolarmente vulnerabile è quello dell’acciaio, appunto. Secondo Assofermet, l’applicazione del CBAM nella sua versione definitiva (dal 2026) farà aumentare del 15 per cento i prezzi delle importazioni di questa lega. Le ricadute economiche e sociali potrebbero essere molto pesanti, “in quanto acciaio e alluminio sono materie prime largamente impiegate per la realizzazione di moltissimi beni utilizzati dal mondo industriale e dai consumatori finali”.

Inoltre, Sangoi scrive che il CBAM si applica alle materie prime in acciaio e alluminio, ma non ai manufatti e ai beni finali realizzati con questi materiali. Il rischio di questa impostazione è svantaggiare i produttori europei di acciaio e prodotti derivati, ad esempio, rispetto alle aziende europee che si limitano a importare dall’estero direttamente il prodotto finito. Le industrie manifatturiere europee, quindi, dovranno “farsi carico degli oneri derivanti dalla CBAM mentre saranno esposti alla concorrenza dei prodotti finiti importati, esenti dagli adempimenti previsti dalla norma”.

“È un’impostazione che danneggia fortemente la manifattura del nostro continente”, si legge su Energia. “Chi, per esempio, produce elettrodomestici nell’Unione Europea utilizzando acciaio e alluminio importati da territori extra-UE si ritroverà a fronteggiare un costo strutturalmente maggiore rispetto a chi importerà direttamente l’elettrodomestico finito”.

Gianclaudio Torlizzi, esperto di materie prime e consigliere del ministero della Difesa, ha scritto su X che “le imprese manifatturiere non ancora assimilato il concetto che, con l’entrata in vigore del CBAM (carbon border adjustment mechanism) saranno costrette a sostenere rincari sul prezzo della materia prima per milioni di euro”.

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