Si allargano le zone di protezione e di sorveglianza per contrastare la peste suina africana (Psa) in Italia. A deciderlo è una direttiva dell’Unione europea in seguito alla diffusione e al rilevamento del virus in altri allevamenti del pavese. Dopo quelli di Zinasco infatti sono stati riscontrati casi anche nella vicina Dorno in Lomellina.
I DATI IN ITALIA
Dal primo caso di peste suina nell’Italia continentale del 7 gennaio 2022 in Provincia di Alessandria la malattia si è diffusa in Liguria, Lazio, Calabria e Campania. Considerando anche la Sardegna, dove però il virus è geneticamente diverso, secondo il bollettino del ministero della Salute aggiornato a oggi, i casi di positività riscontrati tra i suini sono stati in totale 1.065, mentre i focolai di cinghiali infetti 19.
Il numero, invece, di animali positivi alla peste suina per regione e per provincia nei territori sottoposti a restrizione dal 1° gennaio 2022 a oggi è di 1.038 cinghiali e 626 suini.
COSA STA SUCCEDENDO NEL PAVESE
In provincia di Pavia, dove gli animali positivi alla Psa e sottoposti a restrizione sono 206 suini e 3 cinghiali, erano stati identificati dei focolai a fine agosto ma il sospetto è che il virus circolasse dall’inizio del mese. E proprio per questo il titolare di un allevamento di suini e un veterinario dell’azienda sono indagati dalla Procura di Pavia con l’ipotesi di reato di non aver segnalato i primi casi di morti sospette di animali che si sono verificate all’inizio di agosto, provocando così un focolaio.
Ma mercoledì scorso sono stati individuati altri contagi in un allevamento con 1.200 capi a Dorno, a pochi chilometri da Zinasco, facendo così salire a sei il numero di allevamenti in Lombardia. Tre si trovano a Zinasco e uno di questi è un allevamento intensivo con oltre 8.000 suini.
A Zinasco, intanto, il Tg regionale riferisce che “si sta procedendo all’abbattimento degli oltre 10mila suini infetti mentre continuano i controlli epidemiologici di veterinari e tecnici in tutta la regione per arginare il virus che non ha conseguenze per l’uomo ma ha una mortalità del 90% per maiali e cinghiali”. È previsto anche l’arrivo dei Carabinieri forestali per intensificare i controlli e accelerare l’abbattimento dei cinghiali attraverso squadre di “bioselettori”, approvate dal ministero della Difesa.
COSA DICE L’UE
A seguito quindi del peggioramento della situazione, La Provincia pavese fa sapere che una direttiva dell’Unione europea ha portato a 172 il numero di comuni della provincia di Pavia dove saranno vietate le movimentazioni di maiali, sia in ingresso che in uscita, per limitare la diffusione del virus.
La decisione coinvolge l’intero territorio provinciale, con 54 comuni che sono stati inseriti nella zona di protezione e 118 in quella di sorveglianza. La misura, precisa il quotidiano, salvo eventuali deroghe da parte dell’Agenzia di tutela della salute, blinderà di fatto l’intera provincia di Pavia fino al 18 novembre. Inoltre, in giugno, dopo il ritrovamento di carcasse di cinghiali infetti, erano state previste zone di restrizione per alcuni centri dell’Oltrepò Pavese.
Nelle aree di protezione si dovrà eseguire il censimento di tutte le aziende suinicole e i veterinari ufficiali devono effettuare almeno una visita in tutti gli stabilimenti suinicoli il prima possibile, mentre nelle zone di sorveglianza si svolgeranno visite a campione.
“È poi vietata la movimentazione di maiali dalla zona di protezione, inclusa quella per pascolo, ma la Regione può autorizzare, secondo modalità e protocolli definiti, il trasporto diretto a uno stabilimento di macellazione appositamente designato. Nella zona di sorveglianza il divieto non si applica quando avviene in quella stessa area se non comporta operazioni di scarico o soste”, conclude La Provincia pavese.
LE RICADUTE ECONOMICHE
Un problema serio che rischia di mettere in crisi un settore strategico. In Italia il comparto vale infatti 11 miliardi e coinvolge 70mila persone. La Lombardia poi nelle sue oltre 2.700 aziende alleva più della metà dei suini italiani, fondamentali per il mercato interno ma anche per quello estero.
Inoltre, fermare la Psa è urgente affinché non raggiunga un altro territorio fondamentale per la produzione di suini: l’Emilia-Romagna. Come ricordato infatti da Marco Farioli, dirigente veterinario della Regione Lombardia, “il danno economico derivante dalla limitazioni commerciali, con particolare riferimento all’export, diventerebbe enorme qualora la peste dovesse diffondersi nella Pianura Padana dove è concentrato l’80% del patrimonio suinicolo regionale che, ricordiamo rappresenta il 50% circa di quello nazionale”.
“La filiera suinicola in Emilia-Romagna – afferma il Resto del Carlino – conta circa 1.200 allevamenti, 1,2 milioni di capi e una produzione lorda vendibile stimata in 307 milioni di euro. I prodotti a base di carne Dop e Igp hanno un valore alla produzione pari a 1,93 miliardi di euro e un valore al consumo pari a 4,98 miliardi di euro. L’export vale 601 milioni di euro. Il 53% del fatturato nazionale relativo ai prodotti a base carne Dop e Igp derivante dalla filiera è attribuibile all’Emilia-Romagna. Ora, a causa della chiusura di alcuni mercati si calcolano perdite per 20 milioni al mese su economia nazionale per le mancate esportazioni”.
Anche Elio Martinelli, presidente di Assosuini, si è detto seriamente preoccupato per la commercializzazione dei prodotti perché, come si legge sul Fatto alimentare, “le esportazioni di carni suine e salumi nel mondo hanno raggiunto nel 2022 quasi 3 miliardi di euro”.
“Se il virus della peste entra negli allevamenti lombardi ed emiliani, dove si concentra la maggior parte delle produzioni italiane – ha detto Martinelli -, rischiamo di dovere abbattere decine di milioni di capi, e possiamo dire addio all’export per parecchio tempo”.
LA DENUNCIA DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA
L’Emilia-Romagna è ben cosciente di quanto rischia senza un intervento immediato. “Siamo molto preoccupati – ha commentato al Resto del Carlino l’assessore regionale all’Agricoltura Alessio Mammi -. Ci vuole una strategia nazionale concreta, seria e adeguatamente finanziata, che contempli la riduzione della popolazione di cinghiali, la protezione degli allevamenti con interventi per la biosicurezza e la salvaguardia delle esportazioni. Purtroppo non la vedo. Questo ritardo crea le condizioni per scenari molto pesanti sul piano sociale ed economico. […] Poi c’è l’export, soprattutto verso il mercato nordamericano (Canada e Usa), occorre salvaguardarlo in ogni modo”.
La Regione, riferisce Mammi, ha tra l’altro affidato lo scorso gennaio 2 milioni di euro di fondi propri per la posa delle reti ma che “sono ancora in fondo a un cassetto e che nessuno si è preoccupato di spendere per la difesa degli allevamenti e delle imprese dai cinghiali”.
“Abbiamo bisogno che si proceda con più concretezza e decisione – ha detto l’assessore -. A Roma devono rendersi conto che è a rischio l’intera filiera zootecnica dei suini e la produzione di tutti i nostri salumi, eccellenze Dop e Igp che arrivano sulle tavole di tutto il mondo, che valgono milioni di euro e migliaia di posti di lavoro”.