Tra le storie infinite di dissesto, in questo dissestato paese, ci sono senza dubbio Alitalia e Carige. Per entrambe, il governo italiano punta a soluzioni miste pubblico-privato. O almeno, questa sarebbe l’idea, ma il tempo trascorre e restiamo nel limbo dei sogni. Che rischiano pure di essere di tipo masochistico.
Per Carige il governo, dopo che le offerte di BlackRock e Apollo sono tramontate, pare puntare ad una ancor più robusta iniezione di capitali da parte del sistema bancario italiano, con l’aggiunta di un apporto pubblico, che in questi giorni pare essere identificato in Mediocredito Centrale, il cui nome esteso è Mediocredito Centrale-Banca del Mezzogiorno, e dell’Istituto per il Credito sportivo. Che ci azzeccherà mai, direte voi? Ora ci arriviamo.
A monte di tutto c’è l’intervento del braccio volontario del Fondo interbancario tutela dei depositi (Fitd), che ha sottoscritto un prestito subordinato da convertire in azioni, per 315 milioni. La banca pare avere un fabbisogno di capitale di 800 milioni. Chi mette il resto?
Al momento, si ipotizzano altri 200 milioni dal Fitd in quanto tale, in pendenza dell’appello della Commissione Ue dopo che il Tribunale dell’Unione ha sentenziato che i soldi del Fitd non sono aiuto di stato, causando trenini di gioia tra politici e banchieri italiani, questi ultimi ansiosi di perdere centinaia di milioni in imprese disperate, pur di fare marameo a quella strega della Vestager. Che fare? Procedere prima della sentenza d’appello, e prendersi il rischio? Attendere?
Poi ci sarebbe un aumento di capitale riservato agli attuali azionisti, prima fra tutti la Malacalza Investimenti, che col suo 27,8% di azioni dispone di una minoranza di blocco che può mandare la banca sugli scogli, e che ha già causato il commissariamento da parte della Ue.
E veniamo alla parte pubblica. Si è parlato del Mediocredito Centrale-Banca del Mezzogiorno, del gruppo Invitalia. Qui ci sono problemi di capacità patrimoniale, però, visto che Mcc ha vincoli statutari che impediscono di destinare a singola operazione più del 25% del patrimonio (che è pure troppo). Sarebbero 50-60 milioni di euro, dopo essersi accuratamente svuotati le tasche. Immagino che non ci sarebbero problemi di localizzazione di Carige, che non sembra essere ubicata nel Mezzogiorno ma non si può mai dire, visto che viviamo un’epoca di profondi revisionismi. Del resto, l’oggetto sociale di Mcc prevede sia finanziamenti alle PMI del Mezzogiorno sia agevolazioni varie alle PMI, senza vincolo territoriale.
E comunque, non scordate che l’acquisto della quota potrebbe essere motivato con le interessanti prospettive reddituali della cosiddetta banca dei liguri. Proprio come successe a Poste italiane, quando scoprì enormi sinergie potenziali nell’acquisto di una quota di Alitalia. Ricordate?
Poi ci sarebbe il Credito Sportivo, controllato dal Mef. Anche qui, che problemi avete? Carige è notoriamente una banca molto sportiva, ed in caso i suoi dipendenti potrebbero essere comandati di eseguire un centinaio di flessioni e qualche plank prima di entrare un ufficio, meglio se davanti alle filiali prima dell’orario di apertura.
Passata sotto silenzio che Ist. CREDITO SPORTIVO (80% MEF) possa investire 100-200 MM nel salvataggio #Carige:
– fuori perimetro statuto (attività sportive e culturali)
– patrimonio di 900 MM
– ROE 2%
– portafoglio: solo CCT (770MM) e BTP (310MM)Sport Carige? salto a ostacoli? https://t.co/UuaUJQOxdI
— Fabio Bolognini (@Linkerbiz) July 4, 2019
A parte queste seccature statutarie e di diversificazione degli investimenti, che tuttavia in Italia come sappiamo non è un precetto da rispettare, io avrei alcune domande ma in particolare una: chi comanderebbe in siffatta Carige? La comunità delle banche italiane, ritrovatasi padrona di una concorrente, sia pure messa maluccio? Oppure il privato di maggior peso relativo, Malacalza, ulteriormente diluito ma in grado di mettere a leva la sua partecipazione?
Le notate anche voi, le somiglianze tra questo “salvataggio di sistema” e quello che si sta tentando da tempo immemore su Alitalia? A questo si arriva perché non ci sono banche che vogliano comprarsi Carige se non la polpa, e dietro robusta dote dei contribuenti italiani, come fatto da Intesa Sanpaolo con le venete. E infatti, ecco Bper che si fa avanti negli stessi identici termini. Del resto, chiedere è lecito, rispondere è cortesia. E poi, “neutralità patrimoniale” è un’espressione molto ganza, da vera business school del monte di pietà.
Voi vedete, in questa ipotesi, la riproposizione dello schema Alitalia con la Bad Company comunque necessaria, sia che arrivi Lufthansa sia che il vettore tricolore venga posto in liquidazione (volesse il cielo)? Ecco, vedete giusto.
Poi, potremmo vedere in entrambi i casi la disciplina olimpionica in cui gli italiani sono indiscussi campioni mondiali: il calcio della lattina. Il tutto a rubinetti pubblici rigorosamente aperti, a bocca di leone. Perché noi non vogliamo stop loss, sia chiaro, ed il concetto di riduzione del danno è troppo poco positivo per conquistarci.
Nel caso di Carige, la ricapitalizzazione precauzionale è preclusa, perché la banca non è certo sistemica. Inoltre, qualcuno dovrebbe colmare le perdite pregresse, prima di poter procedere con l’intervento pubblico. Pensate cosa accadrebbe ai soldini del Fitd, volontario e obbligatorio, in caso di applicazione del bail-in: il bond subordinato azzerato o giù di lì.
Qualche ingegnere finanziario disperato ipotizza che i due salvatori pubblici identificati potrebbero sottoscrivere a loro volta dei bond subordinati, per evitare vincoli e ristrettezze patrimoniali. Subordinati che farebbero la stessa fine, in caso di risoluzione. E in quel caso, che accadrebbe a MCC e Credito Sportivo? Che, visto l’importo sottoscritto, finirebbero in dissesto e lo Stato dovrebbe ricapitalizzarli. Lo Stato, cioè i contribuenti.
(Estratto di un articolo pubblicato su phastidio.net)