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Perché Trump si è rimangiato in parte i dazi

Trump è stato rieducato sui dazi dal crollo delle quotazioni e dall'andamento dei Treasury? L'analisi di Mario Seminerio tratta dal blog Phastidio.

E dunque, Donald Trump pare aver fatto una mezza retromarcia, decidendo di applicare per 90 giorni una tariffa universale del 10 per cento a tutti i paesi, in luogo di quelle reciproche “personalizzate”, aumentando però al 125 per cento quella sulla Cina, che porta le due potenze di fatto ad applicare un embargo reciproco.

Annunci e manovre

Il Segretario al Tesoro Scott Bessent ha dichiarato alla American Bankers Association che l’amministrazione punta a trovare un accordo con gli “alleati” e poi a muoversi uniti contro la Cina. Singolare concetto, visti i modi in cui gli “alleati” vengono trattati. Poi, il mega (ma non MAGA) oligarca Jamie Dimon, boss di JPMorgan, va a Fox News, intervistato da Maria Bartiromo, e dice che gli Stati Uniti vanno verso una recessione, pur definendola per ora lieve (stime della casa a meno 0,3 per cento per quest’anno), che va bene agire sul commercio internazionale e con i dazi (è un bel presidente!), ma che bisogna negoziare. Perché la situazione potrebbe sfuggire di mano e volgere al peggio.

Trump fa uno dei suoi post, invitando a comprare azioni. Per qualche ora non accade nulla, la borsa americana si rianima brevemente ma poi torna a cedere lievemente. A un certo punto, arriva l’annuncio della “sospensione”, e parte un furioso rally che strappa quasi del dieci per cento.

I più maliziosi, categoria a cui appartengo, qui vedranno una bella sequenza di turbativa di mercato: per gli amici, aggiotaggio. Nel senso che Trump viene rieducato dal crollo delle quotazioni, soprattutto da quanto accade ai Treasury, il cui rendimento sul decennale era schizzato di 60 punti base in due giorni, si riposiziona e “incassa” un grande successo e forse anche altro. In serata, siparietto davanti alle telecamere con Trump che chiede ai suoi sicofanti di prossimità se quel rialzo di tremila punti del Dow sia effettivamente un record, ottenendone assensi entusiastici. Nerone a Trump avrebbe spicciato casa.

Che accade, ora? Intanto, che l’entità dei dazi resta altissima, solo temporaneamente rimodulata. Restano quelli del 25 per cento su acciaio e alluminio, quelli settoriali del 25 per cento sulle auto e pare in arrivo quelli su farmaceutico, semiconduttori, rame e legname. Il mercato azionario torna ad essere mediamente costoso e non prezzato per una recessione.

Treasury nei guai

Il mercato dei Treasury resta il punto focale di ogni crisi, soprattutto se sei il primo debitore del pianeta. Questa volatilità estrema ha innescato vendite forzose, si presume soprattutto nel cosiddetto basis trade, quello dove gli hedge comprano Treasury e vendono futures sui medesimi per spremere i pochi centesimi di differenza (la “base”), applicando un fattore di leva che in media è pari a 50 volte ma spesso arriva a 100.

Quando la volatilità aumenta, i creditori alzano i margini di mantenimento, cioè chiedono ai fondi impegnati nell’operazione di aggiungere garanzia, cioè altri Treasury. Se il fondo non ha i soldi per farlo, scattano le vendite automatiche del sottostante, cioè del Treasury. Questo ne deprime il prezzo e innalza i rendimenti. Non si inventa nulla, dopo tutto. Sempre la leva alla base di tutto. Leggetevi Charles Kindleberger e i suoi discepoli che ne portano avanti il pensiero eterno.

Non so se è stato questo o solo questo ma, quando la volatilità esplode, le posizioni a leva vanno a gambe all’aria. Nei casi più gravi, innescando crisi di stabilità finanziaria che costringono le banche centrali a intervenire. A questo giro, la Federal Reserve è stata ferma ma un suo eventuale intervento di iniezione di liquidità avrebbe dato l’occasione a Trump per chiedere con ancor più forza a Jerome Powell di abbassare i tassi. Abbiamo corso il rischio di un assalto alla Fed, in sostanza. Per questa volta è andata bene, e la prossima?

Non sposo la tesi cospirazionista dei cinesi che vendono Treasury, perché non c’è modo di verificarla e perché sarebbe un discreto tafazzismo se fossero venduti titoli a lunga scadenza pesantemente deprezzati dagli eventi degli ultimi giorni. Perdite solo in parte mitigate dal deprezzamento accelerato del renmimbi contro dollaro. Ma resta del tutto verosimile che i cinesi non rinnovino le emissioni di Treasury in scadenza e gestiscano le riserve valutarie in modalità -giustamente- ostile al dollaro.

Gli Stati Uniti vanno comunque verso una recessione con evidenti connotazioni stagfazionistiche. Ciò avrà ricadute ovunque. L’incertezza generata da Trump è del tutto patologica e mostra, anche agli storici di domani, cosa può accadere quando la razionalità di una nazione viene travolta.

T’aggiotaggio voluto bene

Che accadrà, ora? Non lo sa nessuno, neppure Trump. Che comunque pare riuscire a creare sontuose opportunità di monetizzazione da queste situazioni. “Seguitemi, e farete i soldi come li ho fatti io”. In effetti, Al Capone fu uccellato dal fisco. Ma Trump è ben più astuto: eviscerata la SEC, prossimo allo svuotamento l’IRS.

Che faranno gli europei, con le loro ritorsioni appena decise? Trump si accorgerà che sono in essere, sia pure a livello blando e differito, e cancellerà l’Unione europea dalla lista dei buoni? Torneremo a leggere e sentire proposte di comprare dagli americani più LNG, e vissero tutti felici e contenti?

Che diranno e faranno personaggi inquietanti come Peter Navarro e Steven Miran, uno che rafforza la mia devozione per Cesare Lombroso? Bisogna proseguire a ogni costo per riportare in America le macchine da cucire cambogiane che lavorano sui palloni e le t-shirt e regalare al popolo l’opportunità di avverare il sogno americano di stringere le vitine dell’iPhone per pochi dollari l’ora? Bisogna mantenere il primato del dollaro facendo deprezzare il dollaro? Gli “alleati” dovranno pagare la protezione dei Don Vito Corleone d’America comprando Treasury a cent’anni e infruttiferi? E che farà Elon Musk, il liberoscambista che si è perso nei corridoi di Mar-a-Lago? Una maxi dose di ketamina per dimenticare?

Che dibattito si svilupperà nel Regno Unito, dove alcuni idioti di rito italiano si erano sentiti “vindicated” per la Brexit perché avevano ricevuto dazi di solo il 10 per cento, pur avendo un deficit merci bilaterale con gli americani, e ora finiscono riallineati al resto del mondo e alla Ue? E da noi, mentre attendiamo il messianico viaggio di Giorgia Meloni a Washington il 17 aprile, sforzandoci di tener lontana dalla mente l’immagine di Trump che proclama “vengono a baciarmi il culo”? Nell’attesa, una sola certezza: più stupido di un trumpiano americano c’è solo un italiano trumpiano. E non sto certo parlando di Meloni, che si arrabatta come può.

Lo so, potrei ripetere che è desolante che la cosiddetta più grande democrazia del mondo sia ridotta in questo miserabile stato. Trump è un effetto, non una causa. Forse partire da questo assunto potrebbe aiutare nelle riflessioni. Se e quando il trumpismo collasserà, lasciando macerie del fu partito Repubblicano, avremo in contemporanea il collasso dei Democratici, dilaniati dalla guerra civile (figurata) interna tra liberal centristi e neo-socialisti. Su tutto, resta il fatto che quella cosiddetta nazione vive e si alimenta di episodi di guerra civile, vera. Da sempre.

(Estratto da Phastidio)

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