Il Tribunale amministrativo regionale (Tar) del Lazio ha confermato la multa da 4,3 milioni di euro inflitta dall’autorità antitrust a Wind Tre nel novembre 2019 con l’accusa di non aver fornito informazioni chiare nelle promozione delle offerte di winback per i servizi di telefonia mobile. Con winback si intendono quelle pratiche di marketing volte a recuperare un cliente passato a un altro operatore telefonico.
LE PRATICHE CONTESTATE A WIND TRE
Nello specifico, erano due le condotte illecite contestate alla società di telecomunicazioni e sanzionate. La prima di queste era l'”omissione ingannevole”: negli SMS in cui venivano presentate le offerte in questione, Wind Tre avrebbe indicato soltanto le condizioni principali, senza precisare la presenza di ulteriori costi applicati per aderire al piano tariffario o di vincoli contrattuali. L’altra condotta illecita era la pre-attivazione, durante la fase di adesione alle offerte, di servizi e funzionalità accessorie, senza però che il cliente ne fosse consapevole e avesse espresso il suo consenso.
IL GIUDIZIO DEL TAR
Quanto alla prima pratica, il Tar del Lazio ha osservato che “l’Autorità ha ritenuto l’ingannevolezza della condotta posta in essere dall’operatore telefonico, laddove egli è venuto meno all’obbligo di predisporre messaggi pubblicitari chiari e completi ed ha omesso di fornire, sin dal primo contatto negoziale, gli elementi essenziali per comprendere la proposta offerta”. L’orientamento giurisprudenziale “predica l’obbligo, a carico del professionista, di offrire, sin da subito, un messaggio promozionale completo e chiaro, la cui esaustività deve essere immediatamente percepita dai potenziali clienti, e non già rimessa solo ad un momento successivo e quando l’effetto promozionale si è già prodotto”.
Per quanto riguarda invece la seconda pratica, per il tribunale la valutazione dell’autorità antitrust “è frutto di un corretto esercizio del potere tecnico-discrezionale intestato all’amministrazione […]. L’Autorità ha ritratto dalle evidenze istruttorie che le funzionalità non costituivano affatto prestazioni principali dell’offerta, bensì si atteggiavano, in concreto, quali elementi di fatto opzionali, con costi specifici non inclusi nel prodotto principale pubblicizzato e, per di più, disattivabili solo dopo la sottoscrizione del contratto”.