I malumori stanno crescendo. E insieme a loro anche i timori di una recessione. I dazi di Donald Trump hanno messo in subbuglio le Borse di tutto il mondo, tanto che molte banche d’affari e fondi di investimento negli Stati Uniti si sono esposti per criticare le scelte del presidente Usa.
SALE IL RISCHIO DI UNA RECESSIONE
Nel giro di una settimana, Goldman Sachs ha alzato due volte la percentuale del rischio di recessione negli Usa. Prima dal 20 al 35%, ieri è passato al 45%. Allo stesso tempo ha abbassato le previsioni di crescita economica degli Usa per il 2025, dall’1,3 all’1,5%. A ritenere che una recessione possa essere uno scenario probabile, ormai al 60%, è stata anche Jp Morgan che ha esteso lo scenario negativo non solo agli States ma anche all’economia del resto del mondo.
LA LETTERA DI JAMIE DIMON, CEO DI JP MORGAN
Il ceo della banca, Jamie Dimon, si è esposto ieri pubblicamente con una lettera agli investitori. Secondo lui, la preoccupazione più seria è che la politica dei dazi di Trump possa influenzare “le alleanze economiche a lungo termine dell’America”. Il protezionismo statunitense, in sostanza, potrebbe portare – come già si può osservare – contromisure e ritorsioni da parte di alleati e competitor. E questo indebolirebbe la fiducia nell’economia e nei mercati Usa.
Quindi, “più velocemente questo problema verrà risolto, meglio sarà, perché alcuni degli effetti negativi aumenteranno nel tempo e sarebbero difficili da invertire”, ha sottolineato Dimon. Il ceo di Jp Morgan ha auspicato così che “dopo i negoziati, l’effetto a lungo termine avrà alcuni benefici positivi per gli Stati Uniti”.
L’ALLARME DI BLACKROCK CON LARRY FINK
Chi pensa che invece la recessione di fatto sia già arrivata è Larry Fink, presidente e ceo di BlackRock, che gestisce asset per 11 trilioni di dollari. Durante un evento per l’Economic Club di New York ha infatti affermato: “La maggior parte dei ceo con cui parlo dicono che siamo probabilmente in recessione in questo momento”. Per Fink, inoltre, il problema potrebbe essere anche un altro: visti i dazi trumpiani, sarà difficile per la Federal Reserve tagliare i tassi di interesse, pratica che solitamente fa durante le recessioni. Il capo di BlackRock, al contrario, si è detto “molto preoccupato che potremmo avere un’inflazione elevata che porterà i tassi a salire molto più di quanto non siano oggi”.
IL TIMORE DEI CEO PER LA RECESSIONE DI TRUMP
Le dichiarazioni di Fink sono in linea con quanto emerso da un particolare sondaggio condotto dalla Cnbc. Secondo la rilevazione, il 69% degli amministratori delegati interpellati ha affermato di prevedere una recessione per gli Stati Uniti per colpa delle politiche tariffarie di Trump. Tre su quattro dirigenti che pronosticano la recessione ritengono sarà moderata e non grave. Tuttavia, più di un terzo degli intervistati ipotizza di licenziare diversi dipendenti nell’anno in corso, proprio per far fronte agli scossoni finanziari in atto.
Presi singolarmente, poi, alcuni ceo si sono lasciati andare in maniera anonima a commenti crudi sull’amministrazione Trump, come riporta Quartz. Hanno parlato di una politica commerciale “stupida e illogica” da parte del presidente Usa che “si è circondato di una schiera incompetente di yes man o yes woman incapaci o non disposti a offrirgli consigli convincenti”. Tra le preoccupazioni, anche la questione dei boicottaggi dei marchi americani e un più generale sentimento anti-Usa che sta crescendo nel resto del mondo.
LE CRITICHE DI BILL ACKMAN, (EX) SOSTENITORE DI TRUMP
Le critiche alle mosse di Trump sono piovute anche da personaggi che nel recente passato lo hanno sostenuto. È il caso di Bill Ackman, miliardario e ceo di Pershing Square, società di gestione di hedge fund. L’anno scorso, in campagna elettorale, aveva dichiarato pubblicamente di appoggiare Donald Trump nella corsa verso la Casa Bianca. Si trattò di una svolta rilevante, visto che in passato Ackman aveva sostenuto il partito democratico, segno della fiducia del mondo affaristico verso il repubblicano. Ma nel giro di pochi mesi, la fiducia sembra essere già erosa.
Per Ackman il problema non è lo strumento del dazio in sé. Ma l’aver imposto tariffe così ingenti e sproporzionate “sia ai nostri amici che ai nostri nemici, scatenando così una guerra economica globale contro il mondo intero in una volta sola”. Inoltre, “stiamo distruggendo la fiducia nel nostro paese come partner commerciale, come posto in cui fare affari e come mercato in cui investire capitali”.
Ackman ha auspicato “una sospensione di 90 giorni” per negoziare e stringere accordi con gli altri paesi. La stessa pausa di 90 giorni al centro di indiscrezioni e smentite, accompagnate da rimbalzi in Borsa, andate in scena ieri per qualche minuto. Se Trump non dovesse scegliere questa strada, ha detto ancora Ackman in un lungo post sul social X, ci si dirigerà “verso un inverno nucleare economico autoindotto”.
L’imprenditore 58enne, poi, non le ha mandate a dire: “Gli affari sono un gioco di fiducia. Il presidente sta perdendo la fiducia dei leader aziendali in tutto il mondo. Le conseguenze per il nostro paese e per i milioni di cittadini che hanno sostenuto il presidente, in particolare i consumatori a basso reddito che sono già sotto un enorme stress economico, saranno gravemente negative. Non è questo che abbiamo votato”. Il mondo imprenditoriale e bancario americano sembra avere le idee chiare sulle politiche dell’amministrazione Trump. E non è una buona notizia per il presidente.