Al ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti
E p.c. Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni; ministro per il Made in Italy, Adolfo Urso; sottosegretario all’Innovazione tecnologica, Alessio Butti; sottosegretario all’attuazione del programma di Governo, Giovanbattista Fazzolari, Capo di gabinetto del Presidente del Consiglio, Gaetano Caputi.
“Open Fiber in crisi finanziaria, Cdp chiede aiuto al governo”: Sara Bennewitz su La Repubblica del 22 luglio 2023 informa che Cdp, il primo azionista di Open Fiber con il 60% (il rimanente 40% essendo in mano a un privato, il fondo australiano Macquarie che ha imprudentemente rilevato le sue quote da Enel), vorrebbe chiedere sostegno economico, con una lettera indirizzata addirittura “al ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti, al ministro per il Made in Italy, Adolfo Urso, e alla presidenza del Consiglio, e quindi ai sottosegretari Giovanbattista Fazzolari e Alessio Butti, e al capo di gabinetto Gaetano Caputi”.
Valga questa mia lettera aperta, indirizzata in primo luogo agli stessi alti rappresentanti dello Stato italiano, come richiesta di trattare la questione con il massimo rigore, non dando affatto per scontato che si debba mettere mano a fondi pubblici (ossia “nelle tasche degli italiani”), e che anzi questa palese dichiarazione di fallimento dovrebbe aprire le porte, finalmente, ad un intervento energico per risolvere, una volta per tutte, un grave problema del comparto telecomunicazioni generato irresponsabilmente dal Governo Renzi nel 2015 fondando “(Enel) Open Fiber” e aggravatosi con tutti i successivi governi senza che si siano volute ascoltare le voci preoccupate e critiche di chi, come il sottoscritto, ha sempre messo in guardia dalla inevitabile catastrofe a cui si sarebbe andati incontro.
In sintesi, Open Fiber ha vinto tutti i bandi pubblici per le Aree Bianche del Paese formulando offerte irresponsabilmente al ribasso persino aumentando di molto, rispetto alla base di gara, il numero delle connessioni offerte in fibra ottica fino alla sede del cliente (FTTH). Lo ha fatto ipotizzando ricavi potenziali del tutto irragionevoli che naturalmente non si sono neppure lontanamente avverati. Non ha rispettato le condizioni previste dalla convenzione firmata con la concessionaria Infratel Italia la quale, nel 2020, quando i progetti dovevano essere consegnati ed erano in mare altissimo e procelloso, preso atto molto tardivamente del completo insuccesso dell’impresa, invece di richiedere il versamento delle cospicue e doverose penali previste, ha viceversa ridotto di circa un migliaio i Comuni in fibra ottica da realizzare anche travasando un numero cospicuo di altri Comuni da tecnologia FTTH alla più economica e meno performante tecnologia radio FWA. Nonostante ciò dell’attuazione del programma non si vede la fine.
Si potrebbe dire e scrivere moltissimo di più e lo ho fatto, in varie forme negli anni trascorsi. In un mio articolo su Agenda Digitale del 14 aprile 2021 (“TIM, Open Fiber e rete unica, Vatalaro: ‘Il piano del Governo sta fallendo, come rimediare’”) ho anche allegato uno studio approfondito (“Open Fiber: valuation under different financial model scenarios”) contenente una previsione economico-finanziaria del business di Open Fiber, secondo scenari sia di concorrenza con Telecom Italia sia di cooperazione, che ha mostrato chiaramente come Open Fiber dovesse essere urgentemente risanata in quanto non economicamente sostenibile. Già allora il cospicuo debito accumulato e la irrisorietà dei ricavi, attuali e prospettici, la rendevano un’azienda destinata al fallimento.
In una mia nota del 26 marzo 2021 indirizzata al ministro dello Sviluppo economico Giorgetti – la stessa persona a cui Open Fiber sembra oggi rivolgersi primariamente nelle sue attuali vesti di ministro dell’Economia – avevo illustrato le cause fondamentali della crisi profonda di quell’azienda indicando che, per ragioni associate all’evidente interesse pubblico legato alle concessioni, si dovesse intervenire con assoluta tempestività (riporto in allegato a questa lettera, il documento all’epoca consegnato da me personalmente a mano al Ministero, a cui non è mai stata data risposta).
Destinare oggi denaro pubblico ad Open Fiber – oltre agli aspetti evidentemente distorsivi in un mercato delle Telecomunicazioni già in forte sofferenza, anche per i gravi errori degli ultimi cinque governi – significherebbe dare l’avvio ad un effetto che gli economisti conoscono molto bene e che prende il nome di “Effetto Concorde” dall’impresa pubblica anglo-francese che bruciava ogni anno risorse pubbliche sempre con l’attesa vana che l’anno seguente si sarebbe ripresa (sappiamo come è andata a finire). Qualcuno potrebbe voler ricordare una vicenda ancora più vicina a noi: l’Alitalia. Ma il caso di Open Fiber può essere persino peggiore. Almeno nel caso dell’Alitalia ad ogni rifinanziamento si affiancava un nuovo tentativo di risanamento. Qui a fronte di che cosa si chiedono i soldi?
Come ho già scritto anche di recente, è venuto il momento del “redde rationem”: l’azienda deve essere commissariata al più presto con l’obiettivo, da conseguire in pochi mesi, di recuperare quel poco che c’è di salvabile e di liquidare ciò che non v’è più speranza di salvare: senza mettere le mani in tasca ai cittadini “cornuti e mazziati”.