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Perché è già vecchio il nuovo Patto europeo di stabilità

L’Ue continua a sbagliare. Il caso del nuovo Patto europeo di stabilità nel commento di Giuseppe Liturri.

Con il voto di ieri in seduta plenaria a Strasburgo si è conclusa la lunga liturgia, partita esattamente un anno fa, della riforma del Patto di Stabilità e Crescita (PSC).

Per una curiosa coincidenza, negli stessi giorni in cui Mario Draghi e Francesco Giavazzi ammettono che quelle regole sono quelle che hanno danneggiato famiglie e imprese dell’eurozona e che il “debito comune” non fa più paura, la Ue guida ostinandosi ad osservare lo specchietto retrovisore e ripropone altre regole. A poco o nulla vale che siano diverse o addirittura migliorative rispetto a quelle precedenti. È proprio il principio di “consolidamento di bilancio” che va respinto. Il fatto che tale obiettivo venga conseguito secondo tecnicismi più o meno astrusi e pro ciclici è di secondaria importanza, pur contribuendo anch’esso a fare danni.

In più nessuno è in grado di prevedere i concreti effetti che le nuove regole avranno sui bilanci pubblici nei prossimi anni. È vero, ci sono delle clausole di salvaguardia che stabiliscono la soglia minima di aggiustamento fiscale, in termini deficit/Pil.

Ma, in concreto, la discussione avverrà negoziando con la prossima Commissione da parte di ogni Stato membro, per arrivare a delineare una “traiettoria tecnica” lunga 7 anni (l’ipotesi di 4 anni non è nemmeno da prendere in considerazione). In questo periodo la spesa pubblica netta non potrà aumentare oltre una certa soglia e l’Italia dovrà ridurre il deficit primario (quindi al lordo degli interessi) strutturale di bilancio di 0,5/0,6 punti percentuali.

Percorso in stridente contraddizione con gli “ambiziosi” obiettivi di investimento pubblico per la transizione energetica, digitale e la tanta decantata difesa europea. Ma questo sarà un nodo che presto si dovrà sciogliere, a meno che a Bruxelles non abbiano in mente di espropriare i risparmi privati.

Tuttavia, il voto di ieri conserva un significato. L’europarlamento, nel ruolo di co-legislatore (assieme al Consiglio dei ministri), doveva dare il via libera ad un testo che era uscito dal “trilogo” con Commissione e Consiglio durante il quale i parlamentari avevano sostanzialmente raccolto le briciole, rispetto al testo con cui si era aperto il negoziato. A sua volta, frutto di un estenuante negoziato a livello di Consiglio Ecofin conclusosi a dicembre scorso, che aveva significativamente modificato la proposta iniziale della Commissione.

Bisogna infatti tornare indietro ad aprile 2022, quando la Commissione presentò quella proposta (due regolamenti e una direttiva). Poi ci sono voluti 8 mesi per avere un combattuto accordo in sede di Consiglio Ecofin. Il successivo Trilogo poco ha potuto concedere alle richieste del Parlamento, perché avrebbe significato tornare ad un Consiglio già spaccato come una mela. Prendere o lasciare, è stato detto all’Europarlamento. E il Trilogo ha visto la delegazione parlamentare soccombere su quasi tutta la linea.

A quel punto, il passaggio in aula di ieri era una formalità, soprattutto con l’urgenza di fine legislatura, e astenersi o votare contro va valutato alla stregua di un fallo di reazione di chi sta perdendo 4 a 0 e non ci sta. Un gesto simbolico o poco più.

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