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vendite gucci

Non solo dazi e Cina, Gucci pesa come un macigno su Kering

Le vendite di Kering deludono le aspettative degli analisti e questa mattina il titolo è sceso del 5% (meno 30% dall'inizio dell'anno). La minaccia dei dazi Usa, il debole mercato cinese e la crisi del brand di punta Gucci non lasciano intravedere miglioramenti a breve. Fatti, numeri e commenti

 

Il lusso non brilla più. Il Ceo di Lvmh Bernard Arnault minaccia l’Ue di spostare la produzione negli Stati Uniti se non saprà trattare con il presidente Donald Trump sui dazi, la Cina si propone come alternativa di qualità ma nettamente più economica rispetto ai grandi marchi e Kering, complice il perdurare del calo delle vendite di Gucci, continua a deludere le aspettative degli analisti.

Questa mattina le azioni del secondo gruppo del lusso al mondo sono scese del 5%, in seguito all’annuncio di risultati trimestrali inferiori alle previsioni.

IL CALO DELLE VENDITE DI KERING (E DI GUCCI)

Nel primo trimestre del 2025, Kering ha registrato un calo delle vendite del 14%, con una diminuzione del 25% per il marchio di punta Gucci, che rappresenta circa la metà delle entrate complessive di Kering e due terzi dei suoi utili.

Il conglomerato francese ha segnalato in particolare un peggioramento delle vendite in Nord America (-14%) e in Europa occidentale (-13%) e ha dichiarato di aspettarsi che le vendite continueranno a scendere a due cifre, in termini percentuali, nel secondo trimestre, prima di iniziare a migliorare.

Il consensus degli analisti di Visible Alpha, citato da HSBC, aveva previsto un calo delle vendite del gruppo del 9,7% e del 19% per Gucci.

TAGLI A NEGOZI E PERSONALE

Per far fronte alla situazione, i dirigenti di Kering hanno dichiarato agli analisti che intendono ridurre gli esuberi tra i livelli del gruppo e dei marchi e le aree geografiche per tagliare i costi.

Finora il gruppo ha chiuso 25 negozi quest’anno, nell’ambito di un’azione più ampia volta a eliminare circa 50 boutique poco efficienti e non si escludono altri tagli al personale.

I COMMENTI DEGLI ANALISTI

Secondo gli analisti di Jefferies, riportati da Reuters, i risultati delle vendite hanno confermato “un indebolimento del contesto” rispetto a febbraio. Inoltre, “le incertezze sul ritorno della desiderabilità di Gucci rimangono abbondanti”.

“Gli analisti della Deutsche Bank – prosegue l’agenzia di stampa – hanno abbassato del 13% le stime sull’utile per azione di Kering per quest’anno, portandole a 8,65 euro (9,84 dollari), citando le caute prospettive della società per il primo semestre e notando che il rallentamento in tutte le regioni, eccetto l’Asia, è stato leggermente peggiore rispetto ai concorrenti”.

Infine, per gli analisti di Bernstein il “lavoro pesante” sarà svolto nel secondo semestre, che probabilmente dipenderà da una ripresa della domanda cinese.

FOCUS GUCCI

Se il nuovo direttore creativo, Demna, già da un decennio alla guida di Balenciaga (altro brand di Kering), riuscirà a risollevare le sorti di Gucci si vedrà solo alla fine dell’anno, ma la sua nomina a marzo non ha scaldato il cuore degli investitori.

TD Cowen ha abbassato le previsioni di vendita del marchio per l’anno in corso dal 15% al 20% e ha aggiunto che Gucci – e Yves Saint Laurent, sempre di proprietà di Kering – “dovrebbero essere più lenti ad aumentare i prezzi per compensare i dazi rispetto agli altri marchi”. Questo perché la base di clienti non è composta da super ricchi e, dunque, è più riluttante a spendere in un contesto economico difficile.

L’intenzione infatti di arrivare a una fascia di consumatori più alta sembra ancora lontana, come testimonia la recente chiusura di un salone Gucci a Los Angeles progettato per servire clienti esclusivi solo su appuntamento.

Secondo gli analisti di Citi “il 2025 sarà un altro doloroso anno di transizione per Gucci”. E per Luca Solca di Bernstein “la rinascita di Gucci non si è ancora manifestata e probabilmente si troverà ad affrontare un contesto più difficile, dato che la domanda dei consumatori di lusso si è ammorbidita”.

ANCHE PER LVMH (E NON SOLO) LE COSE NON VANNO MEGLIO

Ma la crisi non riguarda solo Gucci o Kering. Come ricorda Reuters, dall’inizio dell’anno, anche Lvmh, il più grande gruppo del lusso al mondo, è sceso del 23%. E Burberry, come Kering, ha perso il 30%.

Hermès e Richemont, proprietaria di Cartier, considerata dagli analisti come meglio isolata dalle flessioni economiche grazie alla sua clientela più ricca, sono invece in crescita rispettivamente dell’1% e del 3%. Tuttavia, Hermès, che abitualmente supera le aspettative con una crescita a due cifre, la scorsa settimana ha registrato un aumento del 7%.

AUMENTARE I PREZZI IN RISPOSTA AI DAZI?

Se per Gucci vendere articoli più cari non è la strada giusta per affrontare i dazi, Lvmh, nel frattempo, secondo Bernstein e Barclays, ha aumentato i prezzi di alcune borse e articoli in pelle di Louis Vuitton di circa il 4%, mentre Hermes ha dichiarato che il 1° maggio trasferirà l’intero effetto dei dazi sugli acquirenti degli Stati Uniti.

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