Giovedì 17 aprile la presidente del Consiglio Giorgia Meloni sarà a Washington, alla Casa Bianca, per incontrare il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. La riunione servirà anche a discutere dei dazi, utilizzati dall’amministrazione americana per ridurre gli squilibri commerciali tra l’America e gli altri paesi: l’Italia ha un surplus commerciale con gli Stati Uniti di circa 40 miliardi di dollari.
IL PIANO D’AZIONE DELLA FARNESINA
Della necessità di riequilibrare la situazione ne ha parlato anche il nuovo ambasciatore americano in Italia, Tilman Fertitta. Nel Piano d’azione per l’export italiano redatto dalla Farnesina veniva proposto, “in un’ottica di riequilibrio del surplus della bilancia commerciale”, di aumentare gli acquisti di energia e di sistemi di difesa dagli Stati Uniti.
LE PAROLE DI TAJANI (OTTIMISTA) E DI GIORGETTI (CAUTO)
Parlando dell’impatto dei dazi americani sulle esportazioni italiane, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha dichiarato che “il made in Italy non conosce rivali nel mondo, siamo in grado anche di abbattere alcune barriere tariffarie grazie alla qualità del prodotto italiano”. A suo dire, poi, la situazione con Washington sta “lentamente migliorando”.
Maggiore cautela, invece, è emersa dalle parole usate dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti (anche lui andrà a Washington, la settimana prossima, per incontrare l’omologo Scott Bessent). Giorgetti ha detto infatti che “il negoziato non è semplice perché gli interessi in qualche modo ognuno cerca di farli a casa propria. Dobbiamo trovare una sintesi, un compromesso corretto […]. È un momento di grande cambiamento in cui quello che veniva dato per scontato, dalle regole di comportamento alla globalizzazione, il commercio libero, sono messi pesantemente in discussione”.
IL RAPPORTO DELLO US TRADE REPRESENTATIVE
Giorgetti ha anticipato un negoziato complicato tra Roma e Washington. E in effetti le rimostranze commerciali americane nei confronti del nostro paese non sono poche, come si evince dal 2025 National Trade Estimate Report redatto dall’Ufficio del rappresentante del Commercio degli Stati Uniti (Ustr) e pubblicato lo scorso 31 marzo.
Il rapporto descrive le barriere commerciali con cui gli esportatori americani devono fare i conti; tra queste, ce ne sono anche alcune propriamente italiane, al di là di quelle alzate dalla Commissione europea soprattutto con i regolamenti sull’economia digitale.
IL GLIFOSATO
Nel 2023 l’Unione europea ha rinnovato per dieci anni l’approvazione all’utilizzo del glifosato, un erbicida che l’Organizzazione mondiale della sanità considera probabilmente cancerogeno ma non l’Agenzia europea per le sostanze chimiche.
“Dopo l’approvazione di una sostanza attiva nell’Ue, gli stati membri controllano l’autorizzazione dei prodotti formulati che la contengono”, si legge nel rapporto dello Ustr, e possono dunque limitare l’uso di prodotti contenenti glifosato. Nonostante il rinnovo dell’approvazione del glifosato nel 2023, “alcuni stati membri continuano a vietare parzialmente o interamente il glifosato, tra cui Austria, Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi”.
I SERVIZI AUDIOVISIVI
Il documento analizza anche la regolazione italiana sui media audiovisivi, considerata una barriera commerciale. La legge italiana, infatti, prevede che il 50 per cento delle ore di trasmissione venga destinato a produzioni europee e che alle produzioni italiane venga garantito il 16,6 per cento delle ore di trasmissione sui canali televisivi commerciali. Inoltre, le piattaforme nazionali di video on-demand devono garantire che il 30 per cento dei loro cataloghi sia composto da contenuti europei realizzate negli ultimi cinque anni, e che il 15 per cento dei cataloghi sia dedicato a opere italiane prodotte da produttori indipendenti negli ultimi cinque anni.
Le principali società attive nella distribuzione di film e serie sono statunitensi, come Netflix, Amazon, Apple, Disney e Paramount.
“Secondo la legge italiana”, scrive l’Ustr nel rapporto, “le emittenti commerciali devono investire annualmente il 12,5 per cento dei loro ricavi nella produzione di opere europee indipendenti. La metà di questi fondi è riservata alle opere italiane. I fornitori di video-on-demand stranieri e nazionali devono destinare il 16 per cento dei loro ricavi annuali netti generati in Italia alla produzione di opere europee indipendenti. Il 70 per cento dell’obbligo di investimento deve essere riservato a opere italiane prodotte da produttori indipendenti italiani”.
LA LUNGHEZZA DEI PROCESSI AUTORIZZATIVI
Parlando di barriere agli investimenti, il rapporto riporta le lamentele delle aziende americane per la lunghezza e la complessità dei processi autorizzativi in Italia per i progetti energetici e infrastrutturali. “Una volta ottenute le licenze o i permessi”, si legge, “le aziende statunitensi hanno dovuto affrontare ostacoli legali e burocratici che hanno impedito loro di ottenere le concessioni”.
IL SETTORE SANITARIO
Il report si focalizza poi sulla situazione del settore sanitario italiano, con le società statunitensi che devono fare i conti con “un contesto imprenditoriale imprevedibile […], che comprende un’attuazione molto variabile delle complesse politiche di prezzi e rimborsi da parte del governo italiano”, oltre che con i ritardi nei rimborsi dei prodotti farmaceutici e nei pagamenti dei dispositivi medici.
Inoltre, “il tempo medio che gli ospedali pubblici italiani impiegano per pagare i fornitori di dispositivi medici continua a superare il periodo massimo consentito dalla normativa europea. Gli operatori del settore statunitensi continuano a chiedere al governo italiano di affrontare questi problemi”.