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Le pagelline di Palenzona a Caltagirone, Nagel, Lovaglio, Pignataro e non solo

Che cosa dice, che cosa non dice e che cosa fa capire Fabrizio Palenzona intervistato (a sorpresa) dal quotidiano Repubblica

Caro direttore,

oggi ho avuto la riprova di quanto tempo fa mi dicesti: quando un banchiere, un imprenditore o un uomo di potere rilascia interviste ai giornali lo fa perché conta pochino (chi conta davvero evita taccuini e microfoni, ripeti sovente), perché vuole togliersi sassolini dalla scarpa o elogiare personaggi a lui vicini e farlo sapere in giro.

Tutti questi motivi si attagliano all’intervista del quotidiano Repubblica a Fabrizio Palenzona, un tempo potentissimo banchiere, imprenditore, manager, presidente di società e associazioni confindustriali (e in quel periodo non si ricordano intervistone, mentre rammento alcuni interventi pensosi e molto colti sulla dottrina sociale della Chiesa ospitati dal sempre generoso Corriere della sera).

Repubblica opportunamente sottolinea che ora Palenzona è presidente di Prelios. Sono andato sul sito aziendale per capire cosa faccia. Leggo: “Il Gruppo Prelios è il gateway al mercato italiano dell’asset management e del credit servicing nonché dei servizi integrati al real estate”. Non ho compreso molto, ma sempre il sito poi dettaglia: “È uno dei principali Gruppi attivi in Italia ed Europa nell’alternative asset management e nei servizi immobiliari specialistici, con oltre 40 miliardi di euro di assets under management. Il Gruppo Prelios è una piattaforma indipendente e vanta un track record di oltre trenta anni, durante i quali ha maturato una reputazione di autentica scuola in cui si è formato e si forma il miglior management del settore real estate. Da luglio 2024 entra a far parte di ION Group”.

Ah, ecco: Ion Group di Andrea Pignataro, secondo italiano più ricco al mondo, al centro di un’indagine fiscale milionaria emersa giorni fa. E guarda caso Palenzona difende a spada tratta il proprietario della società che presiede: “Confido che, nelle sedi opportune, l’infondatezza delle contestazioni sarà chiarita. Amara considerazione: Andrea Pignataro per 20 anni ha lavorato ovunque senza problemi, investe nel suo Paese 6,5 miliardi in tre anni ed è subito “attenzionato”. Questo conferma quanto il nostro sistema regolamentare e fiscale rendano l’Italia più debole e meno attrattiva rispetto alle economie anglosassoni. E questo è tanto più negativo oggi, in un contesto segnato da neoprotezionismo e deglobalizzazione. Invece di favorire l’ingresso di capitali per costruire campioni capaci di competere su scala globale, allontaniamo i pochi investitori coraggiosi e non speculativi come Ion, che hanno già dimostrato, con i fatti e con i capitali, di credere nel futuro del Paese e dell’Europa”.

Ma la vera ciccia dell’intervista sta nella critica ad Alberto Nagel, numero uno di Mediobanca, che sta alzando i muri contro l’Ops lanciata da Mps (quindi dal ministero dell’Economia, ovvero il governo, da Caltagirone e i Del Vecchio) sull’istituto con sede in Piazzetta Cuccia. Critiche piuttosto esplicite che celano un elogio implicito per la mossa di Mps, Tesoro, Caltagirone e Delfin.

Gustiamo fino in fondo il ragionamento di Palenzona che promana da decenni di esperienza manageriale e finanziaria nonché da una cultura cattolica che non ha subalternità rispetto ai santuari laici, anzi.

«Quando il grande Vincenzo Maranghi, anche lui caparbio combattente, vide in pericolo le Generali, si fece da parte a condizione di salvaguardare il Leone, che Cuccia considerava l’asset più importante del Paese. Sono amico e stimo Alberto Nagel, sono legato molto a Mediobanca, ma se fossi in lui, se ritenessi, come ormai i più ritengono, che non ci sia un vincitore ma solo molti sconfitti, ci penserei seriamente. La disponibilità a un grande gesto di sacrificio personale non solo gli farebbe onore, ma gli consentirebbe, come fece Maranghi, di porre la condizione della salvaguardia e dell’indipendenza di Generali».

Come?

«Chiedendo di votare l’unica lista completa presentata in assemblea e deliberando altresì, Mediobanca, di vendere una parte consistente della partecipazione in Generali, chiedendo nel contempo a tutti di abbassare la tensione. Si potrebbe individuare e far spazio a un partner industriale che possa aprire una fase di stabilizzazione della compagnia e compattare intorno a questo l’azionariato storico, superando, nessuno escluso, quell’ego e quei personalismi che caratterizzano la situazione attuale. È un sogno? Se qualcuno ha idee migliori si faccia avanti».

La figura di arbitro evocata da Palenzona somiglia molto alle fattezze del medesimo Palenzona, ma forse mi sbaglio.

Molto interessanti l’ultima domanda di Repubblica e la risposta di Palenzona: si parla dei casini nella fondazione bancaria Crt.

Domanda: a cosa si riferiva Poggi, presidente di Crt, quando ha detto che è finita l’era del “metodo Palenzona”?

Risposta: «Parafrasando il libro dell’Esodo, vorrei dire: “Ho rifiutato la mano all’empio per non essere un testimone iniquo”. Ho denunciato i comportamenti anomali per i quali stanno indagando due procure. Altri metodi non mi appartengono».

Ricapitolando: Repubblica, che per decenni ha picchiato contro le commistioni tra politica e finanza impersonate da figure alla Palenzona (bistrattato per anni e anni dal quotidiano fondato da Eugenio Scalfari), ora pubblica una bella intervista-santino di Palenzona. Repubblica, che ha sparacchiato a palle incatenate contro intrecci e voglie di governo, Caltagirone e Delfin per mettere la mani su Generali tramite l’assalto a Mediobanca, intervista Palenzona che critica Mediobanca e difende de facto l’Ops di Mps su Piazzetta Cuccia. Repubblica, che ha sempre benedetto ogni tipo di maxi indagine fiscale, ospita una difesa a spada tratta del maxi indagato fiscale di turno.

Fossi il direttore di Repubblica e l’editore Gedi offrirei un ruolo da editorialista a Palenzona.

Salutoni e buon lavoro, caro direttore,

Gianluca Zappa

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