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Guerra, ecco quanto valgono import ed export dell’olio di girasole

Quanto pesa lo stop delle forniture di olio di girasole provocato dalla guerra tra Ucraina e Russia? Quali sono i Paesi che ne esportano e importano di più? E quanto vale questo commercio? Fatti, numeri e grafici

 

Conserve, salse, condimenti spalmabili, conservazione del tonno e produzioni dell’industria dolciaria, ma anche pilastro della ristorazione, dell’allevamento, dell’industria oleochimica ed energetica. L’olio di girasole e i suoi semi sono impiegati sia in tantissimi cibi che nei più svariati settori e anche in questo caso i maggiori esportatori di materia prima sono Ucraina e Russia che, però, hanno bloccato i carichi diretti in tutto il mondo, spingendo i Paesi a rispolverare vecchie alternative o a cercarne di nuove.

QUANTO OLIO DI GIRASOLE PRODUCONO UCRAINA E RUSSIA

I dati dell’Associazione italiana dell’industria olearia (Assitol), aderente a Federalimentare e Confindustria, mostrano che l’Ucraina, insieme alla Russia rappresenta il 60% della produzione mondiale di olio di girasole e circa il 75% dell’export.

In particolare, scrive il Time citando l’Observatory of Economic Complexity (Oec), l’Ucraina è il più grande esportatore di olio di girasole al mondo, infatti, è responsabile fino al 46% della produzione di semi di girasole e olio di cartamo. Subito dopo c’è la Russia, secondo maggior produttore che esporta circa il 23% della fornitura mondiale.

Grafico via Time

LO STOP ALL’EXPORT DI UCRAINA E RUSSIA

Il 9 marzo, due settimane dopo lo scoppio della guerra, il governo ucraino ha deciso di sospendere l’export di alcuni alimenti, tra cui l’olio di girasole.

Il 31 marzo il ministero dell’Agricoltura russo ha fatto sapere dal giorno seguente sarebbe stato vietato l’export di semi di girasole fino alla fine di agosto e verrà inoltre imposta una quota di 1,5 milioni di tonnellate sulle esportazioni di olio di girasole per evitare carenze e allentare la pressione sui prezzi interni.

CHI ESPORTA E QUANTO VALE L’EXPORT

Secondo la classifica stilata dall’Oec, nel 2020, l’export di semi di girasole o olio di cartamo grezzo è valso 4,71 miliardi di dollari all’Ucraina; 1,83 miliardi alla Russia; 513 milioni ai Paesi Bassi; 369 milioni alla Bulgaria e 305 milioni all’Argentina.

Grafico via Observatory of Economic Complexity
Grafico via Observatory of Economic Complexity

CHI IMPORTA E QUANTO VALE L’IMPORT

Sempre nel 2020, i due maggiori importatori, sono stati l’India per 1,9 miliardi di dollari, seguita dalla Cina con 1,53 miliardi. Sotto ai due giganti troviamo poi i Paesi Bassi (618 milioni), la Turchia (596 milioni) e l’Italia (484 milioni).

Grafico via Observatory of Economic Complexity
Grafico via Observatory of Economic Complexity

Nel nostro Paese, dove negli ultimi dieci anni è sparito quasi un campo di girasole su due, riferisce Assitol che, a partire dal 2015, conseguentemente all’aumento dei consumi, la quota di import di olio grezzo dall’Ucraina è cresciuta, passando dal 54% al 63%.

E secondo i dati Istat, elaborati da Crea Politiche e Bioeconomia, nel 2021 l’Italia ha acquistato da Kiev quasi la metà dell’olio che ha importato, per un giro d’affari da 287 milioni di euro.

POSSIBILI SOSTITUTI E RINCARI

Venendo a mancare le esportazioni di Ucraina e Russia, i Paesi importatori sono costretti a trovare alternative. Per esempio, l’India, che importa il 23% del suo olio di girasole (soprattutto dall’Ucraina), e la Cina che ne acquista circa il 12% da entrambi i Paesi, secondo il Time, potrebbero iniziare a rivolgersi ai produttori statunitensi facendo così salire il prezzo della materia prima.

Per l’Italia, Coldiretti parla già di aumento su tutti gli oli di semi del 23,3% e Carlo Tampieri, presidente di Assitol, ha ricordato che il consumatore finale si trova a pagare prezzi raddoppiati o incrementati di un 40-50-60% in pochissimo tempo.

L’ALTERNATIVA ITALIANA

L’Italia, che consuma annualmente circa 700 mila tonnellate di olio di girasole ma produce solo 250 mila tonnellate di olio grezzo, ha previsto di finire le sue scorte in questi giorni, secondo quanto affermato dal ministero dello Sviluppo economico (Mise), che un mese fa – a seguito delle pressioni fatte dalle imprese del settore – ha deciso di concedere una deroga all’etichettatura dei prodotti.

Questo significa che le aziende potranno sostituire l’olio di girasole con un olio alternativo (sempre nel rispetto delle norme alimentari) semplicemente apponendo sopra l’etichetta un adesivo in cui si indicano quali oli o grassi sono stati impiegati per la sostituzione e l’eventuale presenza di allergeni.

Oltre alla modifica delle etichette, Assitol fa sapere che l’Italia si sta già rivolgendo a Bulgaria, Romania, Argentina e Messico per compensare la carenza di approvvigionamenti e un’altra opzione è quella di ricorrere all’olio di palma, riaprendo così un non troppo vecchio argomento di dibattito.

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