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Perché alla Germania non piace più la direttiva europea Esg?

La Germania potrebbe far saltare la Corporate Sustainability Due Diligence. Ma quale sarebbe l'effetto della direttiva sulle aziende tedesche? Numeri e commenti nell'articolo di Pierluigi Mennitti da Berlino.

Il governo tedesco potrebbe far saltare la Corporate Sustainability Due Diligence, la direttiva europea sulla sostenibilità delle aziende su cui gli Stati membri avevano già trovato l’accordo. Un’intesa firmata anche dalla stessa Germania, che peraltro di una legge simile – il Supply Chain Act – si è già dotata a livello nazionale dall’inizio dello scorso anno. Anche se, come rivelava uno studio dell’Associazione per la gestione dei materiali, gli acquisti e la logistica (Bme), le stesse imprese tedesche si sono fatte trovare impreparate al rispetto delle norme che mirano a rendere le stesse aziende responsabili di eventuali abusi, violazioni dei diritti umani e lavoro minorile nella catena delle filiere nei paesi in via di sviluppo. Quell’indagine della Bme aveva scoperto che solo il 4% delle aziende si dichiarava “molto preparata” a livello organizzativo a seguire la nuova normativa, mentre il 70% si considerava “appena sufficientemente”, “poco” o “molto poco” preparata.

Sarà per questo motivo (e per gli ulteriori malumori nel frattempo sollevati dal mondo imprenditoriale tedesco), che ora il partito liberaldemocratico Fdp, una delle tre gambe del governo di Olaf Scholz, minaccia di sabotare l’accordo europeo e di imporre il 9 febbraio, giorno del voto, l’astensione della Germania. Alla quale Svezia e Italia potrebbero agganciare il loro malcelato dissenso, portando la controversa direttiva quantomeno al rinvio alla prossima legislatura.

IL (DOPPIO) GIUDIZIO DELLA STAMPA TEDESCA SULLA DIRETTIVA EUROPEA

Ma qual è il giudizio della stampa tedesca sul dietrofront di Berlino? L’Handelsblatt, che per il mondo economico tedesco è il quotidiano di riferimento, ha affidato a due sue penne autorevoli due analisi che divergono nettamente. Una è contraria alla direttiva, l’altra a favore. Entrambe convivono fianco a fianco nella pagina dei commenti.

Le voci sono quelle del direttore della redazione di Berlino, Thomas Sigmund, e della corrispondente da Bruxelles, Olga Scheer.

Sigmund mette subito il dito nella piaga. “La più grande minaccia per l’economia tedesca è la burocrazia”, scrive l’autore, e nonostante la retorica in voga a Bruxelles e Berlino “essa continua a proliferare incontrollata”. Per Sigmund, la Corporate Sustainability Due Diligence dell’Ue è “l’ultimo tentativo di paralizzare la nostra economia”: con la sua introduzione “le aziende tedesche sarebbero ancora più colpite che dalla normativa nazionale, ci sarebbero nuove regole di responsabilità e le aziende dovrebbero difendersi in futuro dalle richieste di risarcimento danni”. Il monitoraggio delle condizioni di lavoro esterne richiederebbe l’assunzione di nuovo personale, che i grandi gruppi possono forse permettersi, al contrario delle piccole aziende. “Finora, la legge nazionale sulla catena di approvvigionamento era sufficiente a portare le PMI e i commercianti sull’orlo della follia”, conclude Sigmund, “tuttavia, come era prevedibile, gli uffici di Bruxelles hanno come al solito fatto di meglio. La Germania è in piena crisi e il governo deve ora concentrarsi sul rendere la vita il più facile possibile all’economia”.

Diversa invece l’opinione di Scheer. La legge europea sulla catena di approvvigionamento mira a responsabilizzare le aziende che non rispettano gli standard elementari non solo nelle loro attività, ma anche presso i loro fornitori e partner commerciali all’estero – esordisce la corrispondente da Bruxelles – ma la frustrazione degli industriali tedeschi per la legge “si basa su un malinteso: non è affatto rivolta contro la direttiva europea, ma contro la legge tedesca sulla catena di fornitura”.

COME FUNZIONA LA LEGGE TEDESCA SULLA SUPPLY CHAIN

Il perché è presto spiegato. La legge tedesca sulla catena di fornitura “si basa sul principio dei cosiddetti obblighi di rendicontazione”, costringe cioè le aziende a compilare centinaia di pagine di moduli, alcuni dei quali completamente privi di significato. “Non c’è da stupirsi che le aziende tedesche si lamentino”, chiosa Sigmund. La direttiva europea, invece, si basa su un meccanismo diverso: la responsabilità. “Crea un quadro giuridico standardizzato e dà alle parti lese la possibilità di fare causa. Ciò avviene se si è verificato un danno e si può dimostrare che un’azienda europea è responsabile o parzialmente responsabile lungo l’intera catena di fornitura. Pertanto, le aziende sono costrette a fare un’analisi più approfondita, se necessario”.

Per Scheer abbandonare il progetto ora sarebbe un errore, mentre la soluzione per il governo di Berlino sarebbe semplice: “liberare le aziende dal peso della burocrazia e dire addio alla legge tedesca sulla catena di fornitura, sostituendola con la direttiva europea, senza perdere la faccia”.

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