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Flat tax o meno, urge una riforma fiscale per abbassare le tasse. Quando lo capiranno i pensosi commentatori dei giornaloni?

Il peso delle imposte deve essere comunque ridotto. Ecco allora il nuovo tabù che occorre superare. Ma quanto tempo ci vorrà per farlo prendere in considerazione da autorevoli commentatori, tutti rapiti nella contemplazione del debito italiano? Il commento di Gianfranco Polillo

 

Se “repetita iuvant” conserva ancora un suo valore, i primi risultati si cominciano a vedere. Sono mesi, molto prima del famoso documento di Paolo Savona, allora ministro per gli affari europei (“Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa”) che insistiamo nel mettere in luce i punti di forza dell’economia italiana, accanto alle debolezze del suo quadro finanziario. Quel potente attivo dei conti con l’estero, che ha preso corpo nel 2013 e, da allora, è divenuto un elemento stabile del panorama economico nazionale. Componente essenziale di un equilibrio macroeconomico che non è solo pane per i denti di tutti gli economisti. Ma, come tale, considerato nei Trattati europei, seppure ignorato, ai fini di una corretta politica economica, nemmeno si trattasse della povera cenerentola.

In questi ultimi giorni due autorevoli personaggi ne hanno, finalmente, cominciato a parlare, dopo le allusioni di Romano Prodi. Grande soddisfazione quindi, ma nessuna rivendicazione di primogenitura. Ma solo l’ennesima dimostrazione che i fatti hanno la testa dura. Ci vuole pazienza, ma alla fine riescono ad imporsi sui tentativi di distrazione. Che non sono mai fini a sé stessi. Le new entries sono quelle di Mario Monti, nel suo lungo intervento su Il Corriere della sera, e l’intervista, concessa a Federico Fubini, su quelle stesse pagine, da Luis de Guindos Jurado, il vicepresidente spagnolo della Bce, economista di spicco.

Secondo Monti, due sono gli errori commessi dalla compagine giallo-verde. Avrebbe dovuto “premere con altri Governi sulla Commissione affinché attivasse pienamente la procedura relativa agli squilibri macroeconomici, di cui è responsabile in particolare la Germania” a causa del suo ingente surplus con l’estero. E, al tempo stesso avrebbe dovuto “proporre in modo argomentato uno spazio maggiore per gli investimenti pubblici nel patto di stabilità”. Quindi più deficit per accelerare lungo il crinale dello sviluppo economico.

La critica nei confronti di Berlino, seppur tardiva, è ampiamente giustificata. C’è solo da dire che, in quel Paese, ad un surplus con l’estero del 7,6 per cento del Pil (2018), corrisponde un tasso di disoccupazione pari al 3,4 per cento. Quindi un vincolo all’ipotesi di reflazione, salvo attivare un forte rincorsa salariale.

Ma se questo vale per la Germania, che dire dell’Italia? In questo caso il surplus con l’estero è pari al 2,5 per cento. Un semplice peccato veniale, che diventa mortale se si considera il suo tasso di disoccupazione pari al 10,6 per cento. La desertificazione produttiva di gran parte del suo territorio, a partire dal Mezzogiorno. I flussi di immigrazione che portano schiere di giovani ad abbandonare la propria terra nella speranza di un posto al sole nelle più ricche regioni del Nord. Quando va bene. Oppure in terra straniera. In questo caso, servono forse ulteriori dosi di deflazione? Se fosse così avremmo due pesi e due misure ed il massimo dell’incoerenza analitica.

Ancora più forte il giudizio di de Guindos Jurado. L’Italia – osserva – “ha anche dei vantaggi che dobbiamo riconoscere. Il primo è che ha un surplus di partite correnti, nel complesso degli scambi con il resto del mondo. La posizione finanziaria netta sull’estero è buona e questo riduce la vulnerabilità dell’economia”. Insomma – aggiungiamo noi – vi sono tutte le condizioni per giustificare una diversa politica economica e finanziaria. Che non sia puro e semplice aumento – in questo caso Monti ha ragione – di spesa corrente, ma finanziamento di una politica per la crescita.

Basteranno i soli investimenti pubblici, da tutti reclamati? Se fossimo un Paese normale, la risposta sarebbe ovvia. Ma, nel regno delle consorterie e degli eccessi burocratici, le maggiori risorse stanziate produrrebbero i loro effetti solo a distanza di anni, quando invece i tempi di una possibile ripresa hanno carattere di estrema urgenza. Se non vogliamo vedere crescere le distanze con gli altri partner dell’Eurozona.

Ed allora non resta che affidarsi alla velocità del mercato. Impostare e realizzare, nel più breve tempo possibile, quella riforma fiscale di cui parla il governatore della Banca d’Italia. Non sarà la flat tax, ma il peso delle imposte deve essere comunque ridotto. Ed ecco allora il nuovo tabù che occorre superare, nel più breve tempo possibile. Ma quanto tempo ci vorrà per farlo prendere in considerazione da autorevoli commentatori, tutti rapiti nella contemplazione del debito italiano?

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