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La stretta Fed farà bene all’inflazione e male alla crescita?

Il commento di Lale Akoner, Senior Market Strategist di BNY Mellon Investment Management, sul rialzo dei tassi annunciato dalla Fed.

 

Le banche centrali si trovano in una situazione difficile: la crescita sta rallentando, l’inflazione è persistente, e l’unico strumento di politica monetaria a disposizione per affrontare queste forze contrastanti sono i tassi d’interesse. Il rialzo annunciato ieri dalla Fed per 75 bps aiuterà probabilmente a far scendere le aspettative sull’inflazione, ma potrebbe anche rendere più marcato il tasso del rallentamento economico.

Ciò detto, in base ai dati storici, un’inflazione al di sopra del 5% non è mai scesa senza che i tassi Fed siano saliti al di sopra dell’indice CPI. Pertanto, nonostante quello di ieri sia stato il più grande rialzo mai annunciato dall’inizio del secolo, i tassi Fed restano bassi, soprattutto rispetto al tasso d’inflazione elevato.

Per enfatizzare quanto sarà difficile riportare l’inflazione nel target range del 2% da questi tassi mensili, si possono considerare i dati seguenti: anche se si ritornasse a un tasso mensile di crescita dei tassi dello 0,2% per il resto del 2022 – pari alla media della variazione mese-su-mese a 5 anni prima dell’accelerazione quest’anno – il tasso d’inflazione headline a fine 2022 sarebbe ancora al 6% circa. Se i tassi mensili invece restassero dove sono, con una media dello 0,7% negli ultimi 6 mesi, allora arriveremmo a un nuovo picco annuale del 9% entro agosto, per arrivare a fine anno con un’inflazione vicina al 10%.

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