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Perché Apple, Microsoft e Nvidia brindano alla retromarcia di Trump sui dazi

Gli Stati Uniti hanno escluso alcuni prodotti tecnologici dai dazi: Apple, Microsoft e le altre "Big Tech" possono tirare un respiro di sollievo. Ma Trump ha già anticipato nuove tariffe sui semiconduttori.

La settimana scorsa il governo degli Stati Uniti ha escluso dai nuovi dazi diversi prodotti tecnologici, come gli smartphone, i computer, i processori, le schede di memoria e gli hard disk. L’amministrazione di Donald Trump ha preso questa decisione per ridurre l’impatto delle tariffe sulle grandi aziende tecnologiche americane, che dipendono in grossa parte dalla Cina per la produzione dei loro dispositivi. Qualche ora fa, tuttavia, il presidente Trump ha anticipato che nei prossimi giorni annuncerà dei dazi sulle importazioni di semiconduttori.

I TITOLI DELLE BIG TECH SALGONO IN BORSA…

L’incertezza, insomma, rimane. Ma le esenzioni – i dazi sulla Cina sono al 125 per cento, quelli sugli altri paesi al 10 per cento – rappresentano comunque un sollievo per aziende come Apple, Nvidia e Microsoft. E infatti sabato scorso, dopo l’annuncio, sono cresciute in borsa: il titolo di Apple, in particolare, ha guadagnato circa il 4 per cento.

… MA L’INCERTEZZA RESTA

Come si legge in una nota di Dan Ives, analista di Wedbush Securities, riportata da Quartz, “l’industria tecnologica statunitense ha una voce forte e, nonostante le forti spinte iniziali contro le esenzioni all’interno della Casa Bianca, la realtà della situazione è stata finalmente riconosciuta”. Ma, aggiunge, “i negoziati con la Cina sono ancora caratterizzati da incertezza e volatilità. Le grandi aziende tecnologiche come Apple, Nvidia, Microsoft e il settore tecnologico in generale possono tirare un enorme sospiro di sollievo questo fine settimana e lunedì”.

Gli imminenti dazi sui semiconduttori, infatti, potrebbero rappresentare un problema: benché sia vero che la Cina è indietro nella manifattura dei microchip avanguardistici, come quelli richiesti dall’intelligenza artificiale, il paese è però un grosso produttore di quei chip meno avanzati e diffusissimi all’interno dei dispositivi elettronici.

IL LOBBYING DI APPLE

Già durante il primo mandato di Trump, dal 2017 al 2021, Apple era riuscita a garantirsi delle esenzioni dalle politiche commerciali del presidente grazie a un’efficace campagna di lobbying. Per l’azienda sarebbe impossibile produrre gli iPhone, ad esempio, negli Stati Uniti, sia per ragioni di costi che di indisponibilità di manodopera qualificata. Non a caso, la società di servizi finanziari Wedbush Securities aveva avvertito già qualche settimana fa che i dazi sulla Cina si sarebbero rivelati un “completo disastro” per Apple.

L’IMPATTO DEI DAZI: L’ANALISI DI RANGONE (POLITECNICO DI MILANO)

“Se davvero i dazi alla Cina al 125 per cento dovessero essere confermati, avranno un impatto molto forte sulla maggior parte dei produttori americani di tecnologia e l’aumento dei prezzi dei prodotti si riverbererà anche in Europa”: lo aveva spiegato all’Ansa Andrea Rangone, docente di Digital Business Innovation alla School of Management del Politecnico di Milano.

“Una quota importante di componenti come le schede madri, i circuiti stampati, le memorie e i sistemi di raffreddamento proviene dalla Cina”, faceva notare Rangone, “e i dazi al 125 per cento porterebbero ad un incremento importante dei costi per i produttori che potrebbero essere trasferiti sul mercato in due modi”.

“Il primo”, spiegava, “è un aumento significativo dei prezzi di vendita dei prodotti, sia negli Stati Uniti sia nell’Unione europea, che si riverberebbe sui consumatori, portando inevitabilmente ad una riduzione dei volumi di vendita”. Mentre il secondo “è una riduzione dei margini di profitto, se le aziende decidessero di tenere i prezzi sotto controllo. In ogni caso si configura una perdita di valore importante per le aziende tech americane. Con l’effetto secondario di aumentare la competitività internazionale di produttori hardware non americani come ad esempio i sudcoreani Samsung o LG”.

Per le aziende statunitensi che producono dispositivi elettronici, come Apple, “nel breve termine sarebbe complesso cambiare filiere di fornitura: i costi di sostituzione sono molto elevati”, secondo Rangone. “Nel medio-lungo termine, se i dazi fossero confermati, le aziende americane cercherebbero fornitori in altre parti del mondo, cercando di internalizzare la produzione per quanto sostenibile dal punto di vista dei costi. Ma questo processo, lungo e complesso, indebolirebbe certamente l’industria tecnologica americana dell’hardware”.

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