Se gli operatori di telefonia mobile virtuali speravano di cavare qualcosa dal ddl Concorrenza, è probabile che rimarranno delusi. Un emendamento del governo presentato in Aula a Palazzo Madama ha infatti modificato le proposte di Fratelli d’Italia e Lega, passate in commissione Industria, grazie alle quali i gestori della rete (Vodafone, Tim, Wind Tre, Iliad) non avrebbero potuto applicare condizioni e prezzi differenti ai clienti transfughi dagli operatori virtuali.
CHI SONO I PROTAGONISTI
Come si legge sul sito dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, al momento sono 20 gli operatori mobili virtuali attivi nel mercato italiano. Di questi, sei (Bt Italia, Coop Italia, Digi Mobile, Kena, Tiscali Italia, Vianova) sono ospitati da Tim; nove da Vodafone Italia (1Mobile, Enegan, Europe Energy, ho.mobile, Lycamobile, Noitel Italia, Optima Italia, PostePay, Rabona); cinque da Wind Tre (Fastweb, Green Telecomunicazioni, Intermatica, NetValue, Very Mobile).
Dall’altra parte, come si diceva, i maggiori gestori della rete (Vodafone Italia, Tim, Wind Tre) cui va aggiunta Iliad Italia del gruppo francese Iliad.
Secondo il Sole 24 Ore “in un momento estremamente delicato per il riassetto della rete Tim (con l’operazione Kkr che coinvolge peraltro il ministero dell’Economia) era in qualche modo prevedibile una scelta conservativa da parte dell’esecutivo”. Per il quotidiano confindustriale, che cita dati dei principali operatori, la proposta iniziale di Fratelli d’Italia avrebbe avuto l’effetto di ridurre la customer base di Tim, Vodafone e Wind Tre di 3,2 milioni di clienti con la conseguenza di abbassare la corrispondente market share dal 71,5 al 67,4%. In tal modo sarebbero diminuiti i prezzi in modo generalizzato e si sarebbe innescato “un processo di cannibalizzazione reciproca con conseguente erosione dei margini”.
IL PROBLEMA DEGLI OPERATOR ATTACK
In sostanza, la questione riguarda alcune offerte particolarmente aggressive – chiamate appunto operator attack – praticate dai grandi gestori (i cosiddetti incumbent) della telefonia mobile ai clienti in arrivo dai concorrenti minori. Si tratta, come spiega il Garante della Concorrenza e del Mercato nelle proposte di riforma concorrenziale per la legge 2023, di offerte di prezzo molto basse o con giga aggiuntivi per attrarre in modo specifico i clienti dei cosiddetti MVNO (Mobile Virtual Network Operator, gli operatori di telefonia mobile che si appoggiano alle reti dei principali operatori, detti anche operatori virtuali) o i clienti di operatori di telefonia mobile entrati da poco sul mercato. Per formulare queste offerte selettive gli incumbent sono in grado di conoscere la rete di appartenenza dell’utente tramite l’interrogazione di un proprio database alimentato dal database di rete, utilizzato per gestire gli instradamenti a seguito della MNP (Mobile Number Portability). Una criticità, questa, riconosciuta come tale in un atto di indirizzo dall’AgCom. Giudizio negativo anche da parte della Commissione europea, quando è stata chiamata a valutare la concentrazione tra Wind e H3G.
Occorre infatti ricordare che per sottoscrivere le offerte online il consumatore deve fornire numero di telefono, codice identificativo della sim e operatore di provenienza e che l’operazione si blocca nel caso in cui non corrispondano le informazioni. Ecco dunque spiegato come gli incumbent riescano a commercializzare offerte definite in modo selettivo in base al concorrente da cui proviene il cliente. Ovviamente queste informazioni non sono disponibili per gli operatori mobili virtuali.
COSA AVEVA DETTO L’ANTITRUST
Proprio nella segnalazione inviata lo scorso giugno ai Presidenti delle Camere e del Consiglio dei ministri, Piazza Verdi notava che la condotta in esame può avere “un effetto estremamente negativo sullo sviluppo della concorrenza nella telefonia mobile” e contribuire a “bloccare lo sviluppo degli operatori nuovi entranti” o addirittura a far uscire dal mercato alcuni di essi “facendo venire meno quello stimolo concorrenziale nei confronti degli operatori tradizionali che ha fin qui apportato numerosi benefici ai consumatori finali”.
Dunque, l’Autorità suggeriva di introdurre una specifica norma per vietare questo comportamento magari integrando il divieto, già esistente, di discriminazione previsto dall’articolo 98-duodecies del d.lgs. n. 207/2021 Attuazione della direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, che istituisce il Codice europeo delle comunicazioni elettroniche (rifusione), aggiungendo un comma relativo alla discriminazione, anche nelle condizioni tecnico-economiche, basate sul fornitore di rete o servizio di comunicazione elettronica di provenienza.
GLI EMENDAMENTI DELLA MAGGIORANZA E DEL GOVERNO
Per mettere fine a questa pratica la maggioranza ha fatto passare in commissione Industria al Senato due emendamenti al ddl Concorrenza, rispettivamente a prima firma di Salvo Pogliese (FdI) e di Mara Bizzotto (Lega). In sostanza le due proposte aggiungevano un comma all’articolo sulle non-discriminazioni previsto dal Codice delle comunicazioni elettroniche e introducevano il divieto di applicare agli utenti finali “requisiti o condizioni generali di accesso o di uso di reti o servizi, comprese le condizioni tecnico-economiche, che risultino differenti in ragione del fornitore di rete o servizio di comunicazione elettronica di provenienza”.
In Aula, invece, il colpo di spugna con la proposta di modifica arrivata a sorpresa e con la quale di fatto la faccenda si ridimensiona. Con l’emendamento dell’esecutivo, infatti, ai gestori che propongono offerte mirate è vietato solo di “utilizzare le informazioni acquisite per il tramite del data base per la portabilità dei numeri mobili, nonché quelle comunque acquisite per esigenze di carattere propriamente operativo”.