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Ecco come il Canada ha fatto lo scherzetto a Trump sui T-Bond

La strategia del primo ministro del Canada, Mark Carney, sui T-Bond ha scombussolato i piani commerciali di Trump. L'intervento di Alberto Franceschini Weiss, presidente di Ambromobiliare

 

Me lo aveva accennato giovedì scorso un amico inglese, ma l’avevo catalogato come fantafinanza. Adesso, dopo aver parlato con altri gestori a Londra e a Ginevra scopro che è una storia vera, però da scriverci un romanzo dal titolo: “Colpo grosso al carotone rosso”.

Nei giorni tra il 2 e il 5 aprile Trump scatena una guerra contro tutto il globo terracqueo: dazi pesantissimi che hanno colpito persino isole abitate solo da pinguini. L’indice Nyse Composite, che era arrivato ad oltre 20.200 a fine febbraio, l’8 aprile crolla a 17.188. Il Nasdaq, da oltre 20 mila del mese di febbraio, lo stesso giorno sprofonda a 15.267.

Trump, fino al 7 aprile, imperterrito, resta sordo a qualsiasi protesta. Elon Musk pubblica timidamente un video di Milton Friedman che, descrivendo i materiali di cui è composta una matita, dice che i dazi creano danni. Bill Ackman finanziere squalo di Wall Street, acceso sostenitore di Trump, con un giro di parole alla Dario Fo dice che Trump sta esagerando. Ma niente, la posizione non cambia.

Poi, mentre i finanzieri di Wall St. perdono miliardi di dollari in borsa, succede qualcosa che scuote le granitiche posizioni del “caro leader”: il corso dei Treasury Bond scende e scende anche il dollaro contro tutte le altre valute.

E il 10 aprile Donald Trump cede e sospende l’efficacia dei dazi. Non è stato a causa di un evento clamoroso o per una tempesta di tweet o una protesta di popolo.

Lui l’ha chiamata una “pausa”, un completo cambiamento rispetto al battage degli ultimi giorni.

Ma la ragione vera? Uno stillicidio continuo di vendite di Treasury Bond, una perdita sostanziale di valore e un rialzo di mezzo punto dei rendimenti, accompagnata da un calo del dollaro. Un segnale ai mercati che la posizione del dollaro statunitense non era così sicura, e che il debitore per eccellenza più sicuro al mondo forse non è un debitore così sicuro.

Facciamo una premessa: occorre considerare che il debito pubblico Usa ammonta a circa 35.000 miliardi di dollari, pari al 130% del PIL… Ma chi possiede i cd “T-Bond”?

La maggior parte è in mano alla Fed e a investitori istituzionali americani.

Gli stranieri detengono circa 8.500 miliardi di dollari di debito statunitense, in particolare i maggiori investitori sono il Giappone e la Cina con circa mille miliardi ciascuno, Canada (350 miliardi), e alcuni paesi europei – Svizzera inclusa – per circa 1.500 miliardi complessivamente. Acquistano obbligazioni per parcheggiare denaro in modo sicuro e guadagnare interessi costanti.

Come i T-Bond influenzano gli Stati Uniti? Gli Usa utilizzano questo denaro preso in prestito per finanziare tutto: difesa, sicurezza e sanità sociale, tagli fiscali, etc., perché il governo americano spende più di quanto incassa in tasse.

Cosa succede in caso di vendite sistematiche? Che le vendite continue di obbligazioni, inondando il mercato, ne fanno scendere il valore; se c’è più offerta che domanda, i prezzi delle obbligazioni scendono e i rendimenti reali aumentano, visto che le cedole sono come i nostri BTP, cioè fisse. Se salgono i rendimenti, anche le nuove emissioni dovranno rispecchiare i nuovi tassi. Ergo, lo Stato paga interessi più alti, e questo è un danno.

Le vendite di T Bond però hanno fatto scendere anche il dollaro. E questo è stato il trigger che ha fatto saltare il coperchio del pentolone e convinto Trump ha mettere “in pausa” i dazi.

Le due cose non sempre sono correlate, a meno che le vendite non provengano da investitori esteri: vendite di T-Bond, contestuale vendite di dollari e rimpatrio del ricavato nella propria moneta.

Un bel casino, la premessa per una vera recessione: costo del debito più alto vuol dire spesa pubblica più bassa e meno posti di lavoro, mentre dollaro più basso significa prezzi dei beni importati più alti (gli Usa hanno una bilancia commerciale passiva), cioè inflazione. A questo punto i mercati crollano: il panico colpisce azioni e banche mentre la fiducia nel debito statunitense svanisce.

È ciò che è successo tra il 7 e il 10 aprile. Non le proteste di Wall Street, non le reazioni spaventate dei gestori dei fondi pensione americane, ma le vendite di T Bond dall’estero accoppiata dalla vendita di dollari che hanno fatto vacillare il tasso di cambio.

La domanda che è circolata insistentemente nelle trading room delle investment banks tra il 10 e il 14 aprile è stata: come è potuto succedere che il “bellissimo” mercato obbligazionario di Trump – di cui si vantava solo qualche settimana fa -improvvisamente diventa un castello di carte?

E poi, mentre nel 2023 erano bastati un po’ di fondi hedge da Singapore, Hong Kong e Ginevra a far saltare la sterlina e i Gilts, e a rendere evidente che neanche una Banca centrale può remare contro i mercati, portando alle dimissioni il governo di Liz Truss, chi può aver provocato un tale sconquasso in poche settimane nei confronti del più grande debitore del mondo?

La risposta, per i più attenti, è stata facile: qualcuno che di finanza globale ne sapeva più di tutti, perché ne aveva fatto parte, qualcuno che governa i destini di un paese ma che di banche centrali, monete e tassi di cambio ne sapeva più di tutti: Mark Carney (nella foto), attuale primo ministro canadese, ex governatore della Banca d’Inghilterra. Un personaggio dal carattere forte e dalla massima autorevolezza.

Riavvolgiamo un po’ il film: mentre Trump preparava la sua macchina da guerra commerciale, Carney non stava semplicemente seduto a Ottawa a girarsi i pollici. Aveva silenziosamente aumentato le riserve canadesi di T-Bond salite ad oltre 350 miliardi di dollari a fine febbraio 2025. In apparenza, sembrava una mossa sicura, una copertura contro il caos economico. Ma non era solo difesa, era una pistola carica messa sul tavolo.

Carney non si è fermato lì. Ha promosso la sua causa andando in Europa, non per foto di rito, ma con incontri riservati con i big dell’Ue: Germania, Francia, Paesi Bassi. Anche il Giappone è stato presente, ascoltando attentamente. L’argomento era semplice: se Trump fosse andato troppo oltre con le tariffe, il Canada non avrebbe semplicemente risposto con dazi sulle auto o sull’acciaio americani. Avrebbe iniziato a scaricare T Bond. Non una svendita violenta, ma un lento e costante stillicidio.

Se paesi come Canada, Giappone e Ue avessero iniziato a vendere obbligazioni insieme e avessero rimpatriato il ricavato nelle rispettive valute l’effetto sui mercati si sarebbe sentito, eccome: Mark Carney ha avviato una manovra finanziaria lenta e deliberata che la maggior parte delle persone non ha notato: un graduale e continuo deflusso dei T Bond e contestuale vendita di dollari contro Euro e altre valute.

Ecco il punto cruciale: il Canada non era solo. Il Giappone e alcuni paesi dell’Ue hanno aderito e iniziato a vendere T-Bond, il che ha preoccupato prima i gestori dei fondi pensione e dei fondi hedge americani, poi ha spaventato Trump e la sua amministrazione.

Non era un bluff. Era un patto silenzioso, una mossa coordinata per ricordare al “Carotone Rosso” che il mondo libero non si piega semplicemente quando lui brandisce la sua mazza tariffaria. Fai del male a noi, ha detto Carney, e noi faremo del male a te, proprio dove fa male.

La pausa di Trump non è nata dal fatto che la gente stesse diventando euforica…

Non è più una partita a carte, ma sta diventando una partita a scacchi, e in questo momento il re bianco, pardon il re carotone, è in difficoltà.

Volete fare verifiche sui dati grezzi? Controllate il rapporto del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti sui “Principali detentori stranieri di titoli del Tesoro”. Guardate poi le riserve del Canada, del Giappone e dell’Ue, e poi chiedetevi: chi sta davvero “tenendo le carte”?

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