Il blocco antioccidentale dei Brics lancia la propria sfida agli Usa e al dollaro annunciando, per bocca del Ministro degli esteri russo Lavrov, e una significativa espansione della propria membership e impegnandosi, attraverso la propria banca Ndb, ad emettere il 30% dei propri prestiti in valute locali. Ma, come mostrano i dati dell’Fmi, la sfida a un dollaro ancora egemone nelle riserve valutarie e nel commercio globali è tutta in salita.
Le parole del Ministro Lavrov
Secondo il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, il numero dei Paesi interessati ad aderire ai Brics e alla Sco – organizzazioni che perseguono l’emancipazione dall’ordine mondiale guidato dagli Usa e dal dominio del dollaro – sarebbe in vistoso aumento e avrebbe raggiunto l’anno scorso quota 22.
In un discorso ai capi di dipartimento del suo ministero, Lavrov ha affermato, come riporta la Tass, che il numero di questi Paesi “si è accresciuto in modo consistente negli ultimi due anni, incluso il primo anno dell’operazione militare speciale”.
Il novero di questi Paesi includerebbe, secondo il Ministro, Egitto, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Argentina e un certo numero di Paesi africani. Si tratta di nazioni che, ha aggiunto Lavrov, “giocano un ruolo davvero importante nelle loro regioni”.
Come riportato anche da Start Magazine. l’ultimo paese a mettersi in coda per aderire ai Brics è la Tunisia, Paese che sta conducendo un impervio negoziato con l’Fmi per ottenere un prestito da 1,9 miliardi di dollari per mantenere a galla un’economia in stato di crescente difficoltà. Anche a Tunisi pensano che è il caso di rivolgersi altrove.
La promessa di Dilma Roussef, capo della Ndb
Dal 2014, ricorda il portale Geopolitical Economy, i Brics dispongono di una loro banca, la New Development Bank, il cui quartier generale si trova a Shangai.
L’istituzione è stata costituita con l’intento di fungere da alternativa alla Banca Mondiale, che per statuto è sempre guidata da un americano, e alla sua concezione neoliberale delle questioni economiche che la porta spesso e volentieri a esigere, in cambio dei suoi prestiti, drastiche condizioni riformatrici.
L’obiettivo di emanciparsi dall’egemonia degli Usa e della loro valuta è stato recentemente esplicitato dalla neopresidente della Ndb Dilma Roussef, l’ex Presidente del Brasile il cui mandato alla testa della banca dei Brics è stato inaugurato qualche giorno fa alla presenza del suo successore nonché mentore Lula.
Intervistata dall’emittente cinese CGTN, la Presidente ha rilasciato dichiarazioni inequivocabili in merito alla necessità per i Brics di far avanzare la dedollarizzazione, come quella in cui ha affermato che il 30% dei prestiti della Banca sarà emesso in valuta locale.
“È necessario – ha affermato Roussef durante l’intervista – trovare i modi per evitare rischi legati alle riserve in valuta estera e ad altre questioni come l’essere dipendenti da una singola valuta quale il dollaro”.
“La buona notizia – ha aggiunto la neopresidente – è che stiamo vedendo molti Paesi scegliere di commerciare usando la loro valuta. Cina e Brasile, ad esempio, sono d’accordo di effettuare i loro scambi con il renminbi e il real brasiliano”.
“Come Ndb siamo impegnati a perseguire proprio questa strategia. La banca dovrà, nel periodo tra il 2022 e il 2026, effettuare il 30% dei propri prestiti in valute locali, così il 30% dei nostri prestiti sarà finanziato con le valute dei nostri Paesi membri”.
L’impegno di Lula
A supportare il mandato di Roussef e i suoi impegnativi obiettivi c’è il Presidente brasiliano Lula, che ha non a caso presenziato alla cerimonia di insediamento della stessa Presidente di Ndb.
Come riportato dal Financial Times, in occasione della sua recente visita in Cina Lula ha rilasciato dichiarazioni pienamente in sintonia con quelle della sua ex delfina.
“Ogni notte”, sono state le parole del Presidente brasiliano, “mi chiedo perché tutti i Paesi debbano basare i loro commerci sul dollaro”.
“Perché non possiamo commerciare nelle nostre valute?”, si è chiesto il leader socialista. “Chi è stato a decidere che il dollaro diventasse la valuta (di riferimento per gli scambi globali) dopo la scomparsa del gold standard?”.
E ancora. “Perché una banca come quella dei Brics non può avere una valuta per finanziare le relazioni commerciali tra il Brasile e la Cina e tra il Brasile e gli altri Paesi?”.
Il dominio del dollaro e l’ascesa dello yuan
Non sappiamo al momento se la sfida lanciata dai Brics sarà effettivamente in grado di erodere o addirittura soppiantare il dominio del dollaro.
Certo è che, se si guarda all’andamento delle riserve valutarie globali, l’obiettivo sembra molto lontano. Come rileva il Sole24ore citando i dati del Fondo Monetario Internazionale, il dollaro rappresenta oggi il 58,36% delle riserve globali delle banche globali, contro il 20,47% dell’euro e appena il 2,69% dello yuan.
Tuttavia, scandagliando a fondo i dati Fmi, si intravvede un trend incipiente che sembrerebbe dare ragione a Lula & co. In Brasile ad esempio lo yuan è diventato recentemente la seconda maggior valuta di riserva con il 5.4% del totale, superando l’euro.
Schiacciata dalla morsa delle sanzioni occidentali, anche la Russia si è mossa in questa direzione portando al 17% del totale le sue riserve in yuan.
Come emerge inoltre dall’indagine annuale di Ubs, la percentuale di banche centrali che investe o è interessata a investire in yuan è salita all’85% nel 2022.
Una storia simile la raccontano i volumi di transazioni sul mercato globale dei cambi. Citando i dati della Banca dei Regolamenti Internazionali, il Sole24ore rileva una crescita costante negli ultimi anni del peso dello yuan, passato dallo zero del 2007 all’attuale 7% del totale globale.
Stesso discorso per i commerci globali, dove il dominio del dollaro, che pesa per l’87% del totale, è sfidato da uno yuan in ascesa che rappresenta oggi il 3% del totale.
La sfida dei Brics è dunque aperta, anche se, almeno per ora, rimane tutta in salita.