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Bbva, Bnp, Citi, Ing e non solo. Che cosa temono le banche estere attive in Italia con le domande dell’Agenzia delle Entrate

 

Il Fisco non risparmia nessuno: oltre ai controlli sempre più frequenti nei confronti dei contribuenti, ora è il turno delle banche estere. E per stringere la morsa l’Agenzia utilizza i dati raccolti durante le due edizioni della voluntary disclosure.

Migliaia di lettere sono partite nelle ultime settimane dall’Agenzia delle entrate. Da una parte ci sono avvisi e questionari diretti ai contribuenti che avevano sfruttato la «sanatoria» del 2015 e del 2017 per far rientrare i capitali dall’estero, inviati nel tentativo di rilevare omissioni nel Quadro RW ovvero versamenti insufficienti di imposte sul reddito prodotto all’estero.

Dall’altra parte, invece, ci sono i questionari inviati direttamente alle banche estere al fine di raccogliere il numero maggiore di informazioni sull’identità degli attuali correntisti, sugli investimenti detenuti all’estero dai contribuenti italiani e sul modus operandi delle banche nella gestione dei rapporti con i clienti.

Dall’incrocio delle informazioni così ricavate, il Fisco avrà a disposizione un database gremito di nomi, numeri e dati rilevanti, così da poter estendere sempre di più il controllo sui flussi finanziari da e verso l’estero. E fin qui, nulla di nuovo.

Ciò che desta sospetto, tuttavia, è la raffica di richieste nei confronti degli istituti di credito esteri, atteso che le informazioni sui titolari effettivi dei rapporti bancari dovrebbero essere facilmente reperibili oramai.

Ed è proprio su questo dubbio che si innesta il dibattito acceso negli ultimi tempi e che vede come protagoniste le stesse banche che hanno mostrato piena collaborazione con il Fisco negli anni della disclosure. E se a questo aggiungiamo le recenti eclatanti vicende che hanno esposto istituti del calibro di Ubs a sanzioni particolarmente gravose per aver agevolato i propri clienti ad evadere il Fisco, ecco che le banche svizzere, quelle monegasche, quelle lussemburghesi e tutti le altre coinvolte nella grande operazione di trasparenza fiscale con l’Italia, cominciano seriamente a preoccuparsi.

Ad allarmare i banchieri d’oltralpe, tuttavia, non dovrebbe essere tanto il rischio di sanzioni per omesso versamento delle ritenute o altre violazioni del genere, quanto l’eventuale contestazione della presenza di una stabile organizzazione della banca in Italia.

Per poter parlare di stabile organizzazione, occorre specificare, è necessario che ci sia una presenza significativa e continuativa in Italia, per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività nel territorio dello Stato.

Ed ecco che tutto sembra tornare: le innumerevoli richieste di informazioni sulle attività della banca, sulla composizione geografica dei clienti della banca, finanche alle richieste relative alla gestione dei rapporti con la clientela e alle modalità di acquisizione dei mandati e dei rapporti finanziari.

Ciò che caratterizzava, invero, l’attività del banker svizzero, così come di quello monegasco o proveniente da banca altra estera, era la considerevole mobilità per ragioni di restrizioni nell’uso del telefono: una rete cospicua di operatori bancari si recava fisicamente presso la clientela italiana, gestendo i rapporti d’affari in Italia.

Le conseguenze di una simile contestazione, tuttavia, sarebbero catastrofiche: tutti i redditi riconducibili alla stabile organizzazione sarebbero attratti a tassazione in Italia con contestuale violazione di una serie di disposizioni a cui devono soggiacere le stabili organizzazioni di imprese estere in Italia.

Di fronte a tale rischio, la risposta del mondo bancario estero, con il pieno supporto delle rispettive associazioni di categoria, è piuttosto ostile. Dalla piena collaborazione e trasparenza verso il Fisco italiano si sta passando alla chiusura dei canali comunicativi e al rifiuto di fornire informazioni sulla propria attività, al fine di tutelare le banche da eventuali attacchi da parte dell’Agenzia delle entrate.

(articolo pubblicato su Italia Oggi)

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