Continuano le schermaglie politiche e non solo sulle università telematiche. Tema che, per la verità, risulta divisivo in seno alle stesse forze di governo (l’accordo firmato dal ministro della Pubblica amministrazione, il forzista Paolo Zangrillo, con le università telematiche per formare i dirigenti statali aveva suscitato le perplessità di un altro ministro, la compagna di partito Anna Maria Bernini dell’Università) sebbene gli atenei virtuali godano di parecchi alleati in Parlamento. Una commistione bipartisan se si considera che il gruppo maggiore, Multiversity, è presieduto da Luciano Violante, storico esponente del Pci-Pds-Ds-Pd e un’attenzione particolare da sempre per gli atenei digitali ha mostrato anche l’ex ministra lettiana Maria Grazia Carrozza, già presidente del Cnr.
IN SENATO SI DIBATTE SULLE UNIVERSITÀ TELEMATICHE
Nelle ultime ore la senatrice Cecilia D’Elia ha illustrato l’interrogazione 3-01082 sul processo di valutazione qualitativa delle università telematiche. Per l’esponente dem “c’è un vero e proprio boom delle iscrizioni alle università telematiche: siamo passati da 44.977 iscrizioni nel 2011 a 186.536 nel 2021 e nel 2023, solo due anni dopo, sono diventate 236.245. In dieci anni, c’è stato quindi un aumento del 293,9 per cento. Cambia anche l’età delle persone che si iscrivono alle università telematiche: sempre di più sono giovanissimi, che hanno meno di ventitré anni, quindi si scrivono direttamente dalla maturità. Sempre meno le università telematiche rispondono ai bisogni degli studenti universitari o al recupero di anni per persone che avevano magari lasciato gli studi.”
Fin qui tutto bene (per le telematiche) ma dal Partito democratico si fa notare come “tutto questo avviene in università che hanno un personale di ruolo ridotto, un rapporto docenti-studenti molto inferiore a quello esistente nelle università tradizionali, talvolta una totale assenza di strutture di ricerca, cose che pregiudicano la possibilità di seguire anche l’attività formativa in modo corretto”..
In particolar modo per il Pd “c’è un tema serissimo di accreditamento, di standard qualitativi, in materia di autovalutazione, di valutazione, di accreditamento iniziale e periodico, delle sedi e dei corsi di studio e questo ce lo dicono i dati”. Perciò l’appello ad Anna Maria Bernini, ministro dell’Università e della ricerca: “Quello che le chiediamo è come viene fatto il monitoraggio dell’adeguamento di queste università agli standard richiesti dal decreto del 2023”.
COSA DICE BERNINI SULLE UNIVERSITÀ TELEMATICHE
Come ha risposto Bernini? “Le università telematiche non sono un pezzo di mondo universitario che si muove in un far west di assenza di regole e controlli”, ha precisato l’esponente del governo. “I percorsi di studio delle università telematiche – ha aggiunto il ministro – sono decisamente controllati e accreditati dal Ministero che mi onoro di rappresentare.”
“E sono soprattutto soggetti, come le altre università, come le università in presenza, alla valutazione dell’Anvur, che è l’Agenzia nazionale per la valutazione del sistema universitario e della ricerca”, ha ricordato Bernini, dimenticando però che proprio l’Anvur si è rivelata assai critica proprio sugli atenei virtuali.
MA COSA DICE DAVVERO L’ANVUR
Stando infatti a ciò che si legge nell’ultimo rapporto dell’Anvur, Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, ente pubblico vigilato dal Ministero dell’Università e della Ricerca, che ha evidenziato come durante i corsi del 2022 le università tradizionali avessero messo a disposizione un professore ogni 28,5 studenti mentre nelle telematiche il rapporto sia salito a 384,8 studenti per docente.
Si legge infatti nel report: “L’’effetto combinato della riduzione dei requisiti di docenza richiesti per l’accreditamento dei corsi di studio, a fronte comunque di un aumento del numero dei docenti contestuale all’esplosione nel numero di iscritti, ha determinato il rilevante aumento del rapporto studenti/docenti, che è passato da 152,2 del 2012 a 384,8 del 2022 (un indicatore di circa tredici volte superiore rispetto alle università tradizionali)”.
Per nulla rosee le conclusioni dell’Anvur: “Pensare che un’offerta formativa possa reggersi appaltando integralmente la docenza all’esterno dell’ateneo è ritenuto un elemento di scarsa attenzione alla qualità della didattica e alla centralità dello studente”.
IL TAVOLO AL DICASTERO PER LE TELEMATICHE
Poi Bernini è entrata nel merito della questione: “Le università in presenza e le università telematiche devono avere la stessa modalità di regolamentazione, tenendo conto delle specifiche di contesto”.
“La didattica in presenza – ha sottolineato la responsabile del dicastero – non è come la didattica a distanza: proprio per questo motivo abbiamo fortemente voluto e creato, presso il Ministero dell’università e della ricerca, un tavolo di lavoro che ricomprende le università telematiche la Presidente della Conferenza dei rettori delle università italiane, il Consiglio universitario nazionale e l’Anvur, in cui stiamo dando regole comuni a tutte le università in modo da fare l’unica cosa che il Ministero deve assolutamente fare: garantire la qualità dell’offerta formativa a tutti, per tutti, con ogni modalità di erogazione dell’offerta didattica”.
“Il Ministero dell’università non è l’Antitrust – ha ancora aggiunto la titolare del dicastero sottolineando che “non deve regolare i rapporti tra università telematiche o tra università telematiche e università in presenza; deve fare una cosa fondamentale, che è quella che ci impegniamo a fare con tutte le nostre forze: garantire, a vantaggio delle studentesse e degli studenti, la qualità dell’offerta formativa”.
“Gli esiti di questo tavolo – la promessa di Bernini – ricomprenderanno sia le università in presenza, sia le università a distanza, calcolando che il modello verso cui stiamo andando è un modello blended (misto), dove, per esigenze che evidentemente si manifestano per i numeri che lei ha giustamente evidenziato, anche le università in presenza devono dare risposta a questo ambito di richiesta.”
UNIVERSITÀ TELEMATICHE O SOCIETÀ DI CAPITALI?
Una risposta che però non sembra soddisfare l’opposizione, a giudicare dalla replica della senatrice dem D’Elia: “Nelle dovute differenze, noi abbiamo bisogno che le regole siano veramente applicate. Sono emerse troppe criticità riguardanti le università telematiche. Citavo il caso degli esami, che andrebbero fatti comunque sempre in presenza”.
“Queste università – la chiosa polemica – sono diventate società di capitali, sono state acquistate da fondi di investimenti stranieri. C’è un tema riguardante il profitto, che può confliggere con la qualità della didattica, e su questo noi dobbiamo assolutamente vigilare”.
La partita parlamentare sulle università telematiche insomma è solo agli inizi.