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Tutte le conseguenze dell’ultima capriola di Luigi Di Maio sulle elezioni regionali. Il corsivo di Polillo

Che fine farà il sentimento anti casta, che è stato il motore del suo successo? L’idea di poter cambiare tutto, per poi non cambiare nulla? Vecchio vizio della storia nazionale. Non si voterà a fine ottobre solo per rinnovare il Consiglio regionale dell'Umbria. Ci saranno riflessi sulla politica nazionale. Il corsivo di Gianfranco Polillo

 

La strenua resistenza di Luigi Di Maio alle profferte di Dario Franceschini è durata ben un paio d’ore. Non si era ancora spenta l’eco delle sue dichiarazioni contrarie, in occasione dell’inaugurazione della nuova Frattocchie del movimento, che ecco la lettera inviata al Quotidiano nazionale. “Contrordine, compagni” – è proprio il caso di dirlo – si può fare. A cosa si debba questo repentino cambiamento d’idea non è dato sapere. Anche se i maligni parlano di un intervento di Davide Casaleggio. Che già non aveva gradito il precedente cambiamento di fronte.

Per il depositario della rete Rousseau, a quanto pare, i discorsi politici contano poco. L’importante è mantenere strette posizioni di potere, a prescindere dai possibili compagni di viaggio. Quindi per ottenere lo scopo, occorre evitare, soprattutto, l’isolamento politico, che porta all’inevitabile sconfitta. Specie in un momento in cui l’opposizione, dopo gli errori compiuti, si sta riorganizzando. E sembra incontrare, nuovamente, il favore dei sondaggi.

Perdere le prossime elezioni regionali umbre, per i 5 stelle, ma anche per il Pd, avrebbe potuto significare innescare un effetto domino. Destinato a ripetersi nelle altre competizioni – soprattutto in Emilia Romagna – alle prossime scadenze. Quindi meglio non correre rischi. Naturalmente la giustificazione al cambiamento di posizionamento politico non poteva che assumere la forma del lirismo. La lettera di Di Maio è una costruzione retorica, tutta basata sull’affermazione di grandi principi, convergenti nella difesa dei cittadini. Che hanno il diritto di reclamare un’amministtazione regionale diversa dal passato. Angeli e non demoni.

Quindi via i compromessi del vecchio regime. Nessun simbolo di partito. Candidati qualificati, dal punto di vista professionale. Dopo i disastri romani. Forze nuove della società che si immolano sull’altare dell’adempimento di un dovere civico. Nessuna sorpresa. La svolta del “compromesso storico” richiese lunghe discussioni nel Comitato centrale, in cui si tracciarono le caratteristiche di una nuova geopolitica. Numeri speciali di Rinascita in cui si illustrava il fallimento dell’esperienza cilena e si insisteva sui “mutamenti irreversibili intervenuti tra Paesi Occidentali e produttori di petrolio”. Il tutto per giustificare una svolta.

Oggi, naturalmente, tutto è più accelerato. Quindi Di Maio può rovesciare, in poche ore, una posizione politica tradizionale. Costituzionalizzazione del vecchio dissenso: si dirà. Ma forse il termine, questa volta, è inadeguato. Si è piuttosto di fronte ad un tentativo di vera e propria normalizzazione. Un Movimento che assume sempre più le vesti di un tradizionale partito politico. È che sarà costretto a rinunciare ad alcuni tratti significativi della sua storia pur breve.

Che fine farà il sentimento anti casta, che è stato il motore del suo successo? L’idea di poter cambiare tutto, per poi non cambiare nulla? Vecchio vizio della storia nazionale. Tutto questo non sarà senza conseguenze. Se normalità dovrà essere, essa non potrà non ridisegnare gli stessi rapporti di forza tra le varie componenti politiche, che stanno caratterizzando queste fasi convulse della vita del Paese. Gli esiti, al momento, sono imprevedibili.

Ma quel che fin da adesso si può dire è che, alla fine di ottobre, non si voterà solo per rinnovare il Consiglio regionale di una piccola Regione. Comunque vada a finire, i riflessi sulla politica nazionale saranno la parte più importante di quell’avvenimento di routine.

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