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Eni e Shell, che cosa ha deciso l’Ue sulle royalties del gas

Che cosa ha deciso l'Avvocato generale della Corte di giustizia dell’Unione europea sulle royalties per l’estrazione del gas ponendo fine alla diatriba che contrapponeva Eni e Shell a ministeri e Arera

Secondo l’Unione europea, ancorare le royalties per l’estrazione di gas naturale all’indice basato sul prezzo a medio-lungo termine del petrolio o di altri idrocarburi è perfettamente legittimo e non viola le norme Ue. A sostenerlo è l’Avvocato generale della Corte di giustizia dell’Unione europea, Manuel Campos Sánchez-Bordona in una pronuncia del 13 giugno 2019 originata da una richiesta del Tar della Lombardia per verificare la compatibilità con il diritto dell’Unione delle norme italiane che ancorano il calcolo delle ‘royalty’ dovute dai concessionari di coltivazioni di gas naturale al parametro Qe, relativo al prezzo del petrolio, anziché all’indice Pfor, più basso, relativo al prezzo del gas come chiedevano le compagnie che operano in Italia.

IL RICORSO PRESENTATO PER ANNULLARE ALCUNI PROVVEDIMENTI EMANATI DA MISE E ARERA

La richiesta di annullare alcuni provvedimenti emanati dal ministero dello Sviluppo economico, dal ministero dell’Economia e dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas e il sistema idrico (Arera), nei quali era stato adottato come criterio di determinazione delle royalties, l’indice della quota energetica (QE) – sulla base di quanto stabilito dalla normativa nazionale interpretata dal Consiglio di Stato – era stata presentata da Eni e Shell le cui due cause sono state riunite di fronte alla magistratura europea.

L’OBIETTIVO ERA ANCORARE I PREZZI DEL GAS AL COSIDDETTO INDICE PFOR

Le due major chiedevano, infatti, di ancorare la determinazione delle royalties per l’estrazione del gas a un indice meno oneroso di quello della quota energetica – basato sulle quotazioni del petrolio nel medio-lungo periodo – e cioè al cosiddetto indice PFOR, legato ai prezzi del gas naturale nel breve periodo. Infatti, si legge nelle questioni pregiudiziali “secondo l’Eni, la Shell e l’Assomineraria, il metodo di calcolo dei canoni basato sull’indice QE comporterebbe una discriminazione e recherebbe pregiudizio alle entità titolari di concessioni per l’estrazione di gas naturale rispetto a quelle che esercitano soltanto attività di distribuzione e commercializzazione di tale prodotto. L’indice QE tiene conto del prezzo del petrolio e di altri idrocarburi, che è superiore a quello del gas naturale, cosicché l’importo dei canoni per le concessioni di gas supera il prezzo di vendita sul mercato dei quantitativi di gas per la cui vendita devono essere corrisposti i suddetti canoni”.

LA POSIZIONE DEL GOVERNO

A differenza delle posizioni della major “il governo italiano, il Comune di Viggiano e la Commissione ritengono che la direttiva 94/22 lasci agli Stati membri la libertà di fissare l’importo dei canoni mediante l’applicazione di un indice quale il QE. A loro parere, la direttiva 94/22 non obbligherebbe gli Stati membri a calcolare i canoni in base al prezzo di mercato del gas naturale”. Che è stata poi la posizione assunta dalla Corte Ue.

PERCHÉ LE DUE COMPAGNIE HANNO PRESENTATO RICORSO

Ma perché le due compagnie hanno presentato ricorso? La ragione è molto semplice: Eni e Shell sono titolari di numerose concessioni per la coltivazione di gas nel nostro paese e come tali devono versare delle somme all’Erario in qualità di canoni di concessione per lo sfruttamento delle risorse del sottosuolo. Ma nel 2015 avevano adito i tribunali per contestare l’importo eccessivo delle royalties decise da ministero dello Sviluppo economico, Mef e Arera legate appunto all’indice della Quota energetica. Se la loro domanda fosse stata accolta, lo Stato avrebbe incassato royalty più alte di quelle che gli spettavano e sarebbe stato tenuto a restituire la differenza alle società.

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